Capitolo 27

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Fuoco. Era questa la mia definizione in quel momento: sentivo fiamme ardenti lambire ogni singola parte del mio corpo, bruciavano e carbonizzavano ovunque passassero, lasciandosi dietro solo fumo e cenere. Le grida di dolore mi morivano in gola, provavo a contorcermi ma il mio corpo non rispondeva ai miei comandi, volevo solo lasciarmi andare, e farmi cullare dal mio stesso oblio...

Fino a quando non sentii più niente. Non c'era più niente da bruciare, perciò quelle terribili fiamme si erano estinte.
Non sapevo dove fossi, né se del mio corpo fosse effettivamente rimasto qualcosa di più di un mucchietto di cenere ed ossa, quando improvvisamente sentii un leggero tintinnio e quelle che mi parvero gocce di rara pioggia fresca cadere sul mio corpo martoriato, risvegliandomi dal torpore sospeso in cui mi crogiolavo.
Non so dove né come trovai un briciolo di forza per aprire gli occhi, ma quando ci riuscii mi ritrovai davanti un paesaggio brullo e sassoso, sferzato da un forte vento gelido che mi fece accapponare la pelle. Che razza di posto era quello? Dove erano finiti Kuma, i pipistrelli giganti e quel cretino di Nar?
Facendomi forza mi sollevai guardandomi attorno: il cielo era limpido, parzialmente oscurato dai polveroni sabbiosi alzati dal vento che mi rendevano quasi cieca. C'era forse una tempesta di sabbia in arrivo, dovunque fossi? No, c'era solo quella bufera, che stranamente tirava solo da dietro di me. Di nuovo percepii quel tintinnio e quelle goccioline di pioggia fredda come se fossero stilettate portate dal vento, sta volta alle mie spalle, perciò tenendo una mano davanti agli occhi per proteggerli dalla sabbia mi voltai, decisa a scoprirne l'origine per rinfrescare la mia gola invasa da quelli che mi sembravano cocci di vetro da quanto ero assetata. Arrancando controvento intravidi un'ombra solitaria: quindi non ero sola in quello spazio desolato. Provai a gridare per attirare l'attenzione dello sconosciuto, ma era impossibile che mi sentisse col vento contrario; sconsolata e distrutta mi accasciai di nuovo a terra, decisa a lasciarmi andare e coprire dalla sabbia finché non avessi recuperato le forze necessarie a compiere il minimo passo, possibilmente senza l'intralcio di quella bufera.
Non seppi quanto tempo passò in quel luogo immoto, ma fui risvegliata dal solito tintinnio accompagnato da gocce d'acqua: il vento si era calmato, perciò non ebbi problemi ad aprire gli occhi, e rimasi di sasso osservando una furiosa tempesta di sabbia che si scatenava attorno a me, ma com'era possibile? Ero in una specie di grande bolla protettiva che impediva alle folate di vento e sabbia di colpirmi.
L'ennesimo tintinnio attirò la mia attenzione: voltandomi di scatto mi ritrovai davanti una donna dalla bellezza eterea e feroce, che dava l'impressione di riuscire a scavarti dentro con lo sguardo e spezzarti una gamba con un mignolo. I suoi occhi erano dorati, come quelli di un leone, anzi, ERANO quelli di un leone! Era alta, sinuosa e slanciata, perfetta con quella pelle ambrata che si intonava perfettamente alla sua folta chioma dorata. Era vestita e agghindata come se fosse appena uscita da una feroce battaglia: aveva un' armatura che le lasciava il ventre, le braccia, la testa e le gambe scoperte, ma era coperta da un pesante mantello rosso sangue, lo stesso che imbrattava di schizzi cremisi il suo stesso corpo e colava dalle sue numerose armi tintinnanti, attaccate alla cintola. Così scoprii che il tintinnio sconosciuto era prodotto dalle armi e dai finimenti, e che quelli che credevo essere gocce d'acqua altro non erano che gocce di sangue portate dal vento.
Il primo impulso fu quello di aggredirla e sbatterle la testa contro un sasso finché non mi avesse rivelato chi fosse e dove mi trovavo, ma osservandola compresi che non sarei riuscita a muovere mezzo passo contro di lei prima di venire trafitta dalla spada affilata che impugnava con un braccio rilassato lungo il fianco. Chi sei? Volevo urlarle, ma le parole non ne volevano sapere di uscire dalla mia bocca, così dovetti limitarmi a fissarla, mentre lei fissava me.
Le sue labbra carnose... Il corpo sinuoso e slanciato... Lo sguardo penetrante anche se di un colore diverso... L'abitudine di giocherellare con le articolazioni delle dita dal nervosismo... Erano tutti particolari che avevo già percepito, ma non riuscivo a ricordare dove.
Un momento, solo IO avevo quella strana abitudine e... Cazzo. Il respiro si bloccò e i miei occhi si riempirono di sconcerto. Quella era... Era... No, non era possibile, quella non poteva essere...
Deglutii per l'ennesima volta, prima che le mie labbra si lasciarono scivolare fuori un debole sussurro: -Madre...-
Sorrise, e il sorriso più splendido che abbia mai visto fu la conferma che una parte del mio cuore di pietra si era sciolto, semtendosi finalmente a casa.
Balzai in piedi e corsi contro di lei, stringendola tra le braccia come se fosse la mia ancora.
Mia madre! Avevo trovato mia madre!! Senza riuscire a capacitarmi ancora del tutto di chi avevo davanti sciolsi l'abbraccio solo per afferrarle delicatamente il viso e perdermi in ogni suo cesellato particolare, esattamente come fece lei con il mio. -Sei davvero tu figlia mia...- gracchiò con voce resa roca dalla commozione -Ormai non speravo più di poterti vedere, oh quanto sei cresciuta, e sei bellissima, con gli stessi occhi di tuo padre, che su di te risplendono ancora di più!- con le lacrime che minacciavano di colarmi dagli occhi risposi con un sussurro: -E tu sei ancora più bella di come ti abbia mai immaginato...-
Aprendosi nell'ennesimo sorriso mi prese per mano, e in un attimo ci trovammo all'interno di una grotta che riparava dalla tempesta di sabbia che sentivo ululare dal di fuori. -Ma che...- non feci in tempo a parlare che mi interruppe: -Perfetto, qui possiamo parlare tranquillamente; vuoi un infuso aromatico? Aiuta a sciogliere la gola-. Con un cenno annuii, prima di afferrare una delle due tazze che aveva fatto comparire dal nulla che emanavano un profumo delizioso. Bevvi avidamente buona parte dell'infuso, prima di porle la domanda che mi pizzicava sulla lingua da quando mi ero risvegliata in mezzo a quel deserto: -Sono morta?-
La donna ridacchiò: -No tesoro, questo è un limbo, situato ai confini estremi del regno dei morti, dove Osiride spedisce tutti quelli che gli stanno scomodi ma non li può uccidere perché immortali- strabuzzai gli occhi alle sue parole: -Che?!? Io non sono immortale e... Nemmeno tu dovresti esserlo...-
Se prima ridacchiava ora si stava sbellicando, facendomi ovviamente innervosire: -Era una bugia per proteggerti, Osiride non avrebbe mai permesso l'esistenza di una bambina nata da due dèi e... Oh attenta cara!-
La roccia sulla quale ero seduta si sbriciolò sotto di me, ed ero quasi convinta che fosse a causa mia: -COSA??? Come... Tu, mio padre... Oh per le corna di Athor, per una fottuta volta potete spiegarmi cosa cazzo sta succedendo?? E già che ci siamo chiama anche Bastet, pure lei dovrebbe rispondere a due domandine!-
Il sorriso aveva ormai abbandonato il suo volto al mio scatto d'ira, e finalmente, sbuffando sconsolata, iniziò a parlare:

La Figlia Di SethDove le storie prendono vita. Scoprilo ora