1. Diplomazia

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Lugal-zaggesi odiava aggirarsi negli edifici terrestri, vedere gli umani stargli vicino, ma soprattutto non sopportava che questi terrestri, totalmente inermi dal punto di vista aerospaziale, fossero così saccenti e arroganti

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Lugal-zaggesi odiava aggirarsi negli edifici terrestri, vedere gli umani stargli vicino, ma soprattutto non sopportava che questi terrestri, totalmente inermi dal punto di vista aerospaziale, fossero così saccenti e arroganti.   

Nel suo pianeta originario e in quelli conquistati, quando entrava in un edificio nessuno avrebbe osato restare nel raggio della sua coda, e questo gli dava il senso del suo potere, concreto ed evidente, anche senza insegne o presentazioni.

Sulla terra erano filosofi, pensatori, chiacchieroni, elucubravano e discutevano, come se le parole avessero il potere di cambiare le cose: lui avrebbe sconfitto questo popolo dal cielo con le navi e a terra con le sue quattro dita per mano.

Ma la sua missione richiedeva diplomazia, una parola che da sola aveva il gusto amaro della sconfitta per la sua gente. Dopo decenni di ricerche finalmente lui poteva mettere le mani sul SurgonTais.

- Si accomodi - disse la donna che lo aspettava con la divisa e uno sguardo serio. Lugal passando la guardò approfonditamente pensando a come avrebbe potuto abusare dei suoi punti nevralgici e a come l'avrebbe fatta urlare fino allo sfinimento, se non fosse stato per la maledetta diplomazia.

Entrò nella sala dove c'era un lungo tavolo e quelle orribili sedie di cui gli umani si circondavano: odiava anche quelle perché non riusciva a sedersi decentemente con la coda, doveva sempre tenerla di lato e la sua posizione diventava uno svantaggio. Fortunatamente qualcuno aveva portato una panca e l'aveva messa ad un lato corto della tavola. Bene, si disse, così non avrò nessuno ai lati.

- Allora, avete trovato questo fuggitivo? - chiese con la sua lingua sibilante, mentre con la coda si faceva largo e allontanava chi si metteva troppo vicino a lui. La punta aveva delle scaglie aguzze che rendevano dolorosa l'esperienza anche solo di sfiorarla.

Il sistema neurale che avvolgeva la sua calotta cranica si occupava delle traduzioni simultanee, anche se non era del tutto perfetto: innanzitutto doveva attendere di aver finito perché la sua frase fosse tradotta nella barbara parlata locale. Poi gli era anche capitato che non lo capissero, come su un vecchio pianeta dove il linguaggio parlato prevedeva anche una complessa gesticolazione degli arti superiori e movimenti facciali, dalle sopracciglia al mento.

Rise fra sé e sé, perché alla fine lui aveva deciso di fare di quel pianeta una colonia vergine, cioè spazzato via qualsiasi forma vivente, eliminando così alla base ogni problema futuro di incomprensione.

Intanto dall'altra parte del tavolo aveva iniziato a parlare uno dei tanti terrestri abbigliati con le divise dei diplomatici: tessuti esterni con gradazioni di neri e grigi, tessuti interni che si intravvedevano sul petto bianco o azzurro, e l'unica differenziazione era una striscia di qualche colore brillante al collo. A lui sembravano così uguali l'uno all'altro che non faceva nessuno sforzo di fingere di sentire. Alle orecchie il sistema traduttore ogni tanto faceva delle pause e allora lui allargava le labbra a mostrare i denti, così come usavano loro, non per minacciare, ma per sorridere.

Lugal li guardava negli occhi e mentre alcuni esprimevano rispetto per la sua coda e per la pelle coriacea di combattente, altri lo guardavano con aria di sfida o alcuni perfino tentando di sorridere. Il primo giorno in cui era atterrato, il suo piccolo incidente diplomatico era stato che aveva infilzato con la coda i due ufficiali inviati a parlamentare con lui, uno dopo l'altro. Poi aveva attivato il sistema traduttore e si era scusato, lasciando alla macchina l'onere di inventarsi parole che nella sua lingua non c'erano mai state, come venire in pace o diplomazia.

Finito l'inutile appuntamento quotidiano, Lugal si alzò lentamente e, sempre spazzando attorno a sé con la coda per mantenere la sua area di potere, si allontanò nel corridoio.

Però, arrivato vicino agli ascensori si fermò un attimo: gli accompagnatori andarono nel panico, perché non sapevano come comportarsi. Finché non arrivò un tipo con un giubetto di pelle e pieno di boria che gli fece cenno di entrare in ascensore. Poi appena lui varcò la soglia, chiuse la porta e schiacciò per l'ultimo piano.

- Hai trovato qualcosa? - sibilò Lugal, con gli occhi a fessura verticale fissi sul tipo.

- Forse abbiamo una traccia. Il Segretario Generale è appena tornato da un viaggio improvviso dal Brasile dove secondo noi potrebbe aver incontrato qualche delatore.

- Catturate questo segretario e fatelo parlare - Lugal non riusciva più a stare dentro l'ascensore con un ignobile terrestre così vicino.

- Non si può, questa è la persona più potente della terra - disse il tipo.

- Potente, ah! - fece Lugal muovendo una mano come a scacciare un insetto - ma i capi non erano quelli con le armi? Quelli delle vostre nazioni? Mi avete detto che questo non ha neanche un vero esercito.

- Non possiamo, fidati.

Lugal rabbrividì dalla voglia di trucidare questo tipo che lo trattava come fosse un suo pari. Era un terrestre inerme e debole, sarebbe bastato mettergli due dita dentro gli occhi e due in bocca e ruotare il polso per farlo smettere di parlare. Ma poi si sarebbe rotto e a lui per il momento serviva, e questo lo faceva imbestialire.

Quando c'erano stati i primi scambi con le varie diplomazie aveva capito che questa popolazione godeva e viveva del suono delle proprie parole e non avrebbe risolto niente. Il suo primo pensiero era di azzerare tutte le forme di vita del pianeta, che sembrava ideale per un'ottima colonia, vista la grande quantità d'acqua che era così raro trovare allo stato liquido.

Ma il dubbio di sapere se il SurgonTais fosse veramente atterrato lo bloccava. E non c'era peggior cosa che essere prigionieri della propria volontà: in altri tempi Lugal-zaggesi avrebbe prima cancellato il nemico e poi cercato le prove.

Invece i suoi capi lo avevano mandato lì, soprattutto per toglierselo di torno, pensava. Mandato lui, uno dei combattenti più feroci, su un pianetucolo con una popolazione che a malapena era uscita dall'atmosfera e che non faceva altro che parlare.

Fortunatamente Zubei-malisi, il suo gemello in guerra, aveva avuto l'idea che ci potevano essere gruppi di abitanti non allineati al potere e a cui si potevano chiedere lavori in cambio di armi o altre tecnologie. E così si era trovato a fare due trattative contemporaneamente, lui che odiava così tanto la diplomazia.

Bing! suonò l'ascensore e si aprirono le porte:  Lugal uscì sul tetto dove c'erano delle altre persone, che però stavano molto attente a lasciargli spazio.

Questi hanno capito chi comanda, si disse. Il tipo, di cui non ricordava il nome, visto che per lui erano tutti sacchi di carne ambulante, fece un cenno a due ceffi suoi compari.

Questi portarono due ragazze con un cappuccio in testa e le mani legate.

- Per il Segretario Generale ci pensiamo noi, gli staremo con il fiato sul collo. Ecco le altre due ragazze - così disse il tipo col giubbotto in pelle.

- Va bene, portatele alla mia nave: in cambio avrete altri due fucili al plasma - poi passò nervosamente la sottile lingua sul labbro superiore - Anzi, una lasciatela qui che la consumo subito.

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