DICIASSETTESIMO CAPITOLO

200 10 0
                                    

"E, allora avevo l'impressione come se una voce mi chiamasse lontano, e che se fossi andato sempre dritto, sempre, sempre, fino ad arrivare a quella linea dove cielo e terra si incontrano, allora avrei trovato la soluzione dell'enigma che mi angosciava, la visione di un'altra esistenza, mille volte più viva e rumorosa della nostra."

( Fëdor Dostoevskij )


Il tempo.
Il tempo porta via il dolore, la paura, le menzogne, l'amore, qualche volta persino i ricordi.
Il tempo è capace di prendersi la tua memoria, te stessa.
Il tempo porta via le persone.
Per questo motivo dovremmo essere bravi a saper cogliere l'attimo, a non arrenderci, a non aver paura.
Dovremmo semplicemente vivere.

Non ho mai capito l'importanza del tempo fin quando non ho rincontrato mia madre. O meglio, non ho mai capito l'importanza del tempo quando il tempo, con mia madre, ha iniziato ad avere una scadenza.

"Tra settantuno giorni morirò", mi ha detto quella volta.

Siamo al cinquantasettesimo giorno, e sembra già così lontana.

La voce troppo bassa, le mani troppo fredde, la pelle troppo chiara, il corpo troppo scarnito, gli occhi troppo chiusi.

Ho sempre creduto che non vederla più fosse la scelta migliore dopo tutto quello che era successo: le menzogne, le parole dette con troppa cattiveria e senza riflettere, il dolore, la droga, le cure, le cliniche, mio padre distrutto, io distrutta.

Credevo che vederla avrebbe scatenato in me solo ricordi, solo terrore e mi avrebbe solo tenta a ritornare in un vortice che già una volta mi aveva risucchiato.

Non lo sapevo che rivederla, in me, avrebbe risvegliato solo la gioia di una figlia che ritrova la propria mamma. Non lo sapevo che il bene non passa poi così in fretta, neanche con gli anni.
Dovevo sapere che quello che mi avrebbe trascinato di nuovo in quel vortice sarebbe stato il perderla di nuovo. Ancora.

Non avevo considerato che peggio che ritrovarla poteva esserci solo il perderla. E questa volta non ci sarà alcuna possibilità per tornare indietro.

Quando ho chiuso con la droga mi sono ripromessa che mai e poi mai avrei lasciato che qualcosa, qualsiasi cosa accadesse, mi riportasse in quel baratro.
Mi ero ripromessa "mai e poi mai. Mai più."
Ma quelle vocine incessanti nella mia testa, che mi hanno accompagnato in questi anni, nei giorni migliori, nei giorni peggiori, durante la notte e a lezione, quelle vocine, i miei demoni, i residui inevitabili dell'LSD, provano ad aiutarmi nel modo migliore che loro possono offrirmi.

"Sono cinquanta dollari" il tizio abbassa il capo, forse un po' incerto del mio abbigliamento.

Estraggo il denaro dalla borsa nera, come il resto dei miei vestiti, aggiusto gli occhiali da sole, anche se ora è buio, e fingendo indifferenza, passo i soldi al ragazzo e mi avvio all'auto, parcheggiata a due isolati da qui.

Non ci salutiamo, non ce n'è bisogno.
"Fanne buon uso" lo sento urlare alle mie spalle, ma ormai sono troppo lontana. Sono troppo lontana da questa realtà, troppo lontana dalla mia vita.

La vibrazione del cellulare mi riporta alla realtà. E' mia madre.

"Mamma" rispondo in un sussurro, mi sento una ladra, una persona senza pudore.


"Com'è andato il viaggio, tesoro?" la voce troppo stanca, il cuore troppo debole.

I WANT YOU. (SEQUEL "TELL ME WHAT I WANT")Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora