VENTOTTESIMO CAPITOLO

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I demoni hanno fede, ma tremano.
( FëdorDostoevskij )    



E' quasi una settimana che non vedo il viso di mia madre.
E' quasi una settimana che non parlo se non per dire "Non ne ho voglia, grazie", "Magari dopo", "Ti ringrazio", "Vorrei restare da sola".
E' quasi una settimana che mi dicono di riprendermi.
E' quasi una settimana che mi dicono che andrà tutto bene.
E' quasi una settimana che mi dicono di non arrendermi.
E' da quasi una settimana che mi sono arresa.


Ogni giorno mi chiedo se questo dolore incessante al petto passerà, se riuscirò mai a colmare questo vuoto, se potrò mai sentirmi davvero completa senza la mamma.
Mi sveglio solo perché in preda al panico, ma vorrei dormire per ore, giorni interi.
Ecco, una cosa è cambiata: voglio dormire. E' l'unica cosa che desidero, è l'unica cosa che mi fa sentire meglio. E' l'unica cosa che probabilmente mi tiene viva.
Sono così persa che anche i miei sogni non riescono più a trovarmi, sono sola persino lì.


Mark ha ripreso a frequentare le lezioni perché non poteva fare ulteriori assenze, ma ogni sera è tornato qui, accanto a me.
Dicono che anche ci dovrò tornare presto, anche se papà ha parlato con il preside. Ma a me non importa. Io non ci tornerò.
Mark ha informato gli altri che non mi andavano uscite o conversazioni di circostanza, che avevo bisogno di tempo.
Jane ha provato a chiamarmi, ma ho deviato le chiamate.
Così due sere fa erano tutti qui. Ho sorriso e mangiato un muffin, poi ho ringraziato per la presenza e sono tornata in camera mia, consapevole che lì nessuno mi avrebbe seguito.


Questo fine settimana Mark resterà a casa di mia madre, dove passo ancora le mie giornate.
Mark prova a farmi ridere, ma non ci riesce. Di tanto in tanto sorrido, annuisco, per dimostrarmi presente e non completamente assente, per dimostrargli che ci sono.
Lo so che lo nota, so che finge di credermi solo per non darmi altri motivi su cui rimuginare.
Ma non lo faccio.
Ormai non penso più a nulla.

Questa è la cosa peggiore: quando non trovi più un senso. Tutto quello che avevi scompare, tutto ciò che volevi scompare, e scompari anche tu.
Scompare tutto tranne il dolore.

"Hey" Mark entra nella mia stanza, ma non mi volto. Resto a fissare fuori perché mi hanno vietato di fissare il letto della mamma.
"Sei ancora lì? Da ieri sera?" sono le tre del pomeriggio e non ho fatto altro che guardare fuori e dormire.
Non avevo voglia di pranzare, neanche di bere ma l'ho fatto, giusto per non far preoccupare nessuno. Ho fatto anche i complimenti ad Olga, perché così non sono stata costretta a sentirli parlare per tutto il pomeriggio, chiedermi cose che non mi importano, informandomi di cose che non voglio sapere, solo per farmi parlare.
Ho finto dei sorrisi oggi.
Ho finto di stare meglio per circa mezz'ora, ma poi sono tornata qui, così come ieri sera.

Mi volto, guardo negli occhi della persona che amo con tutta me stessa e mi sembra assurdo riuscire a provare questo nonostante tutto il dolore che mi avvolge e mi opprime.
Mi sembra assurdo riuscire ad amare dopo tutto il dolore.

"Basta. Ora ti alzi e andiamo a fare un giro. Mi sono rotto a vederti qui" lo guardo, consapevole di apparire deprimente persino a me stessa. Ma non ho intenzione di muovermi da questa sedia.

"Non mi va, Mark" so che è difficile starmi accanto mentre a stento dialogo, a stento sono presente... così, questa mattina, ho pensato a qualcosa che potremmo fare, qualcosa che non preveda nessun dialogo o domande del tipo "Come stai?", che non preveda nessuna bugia, perché mi ero ripromessa di essere sincera con lui: niente più segreti. Niente più menzogne.
Mi guarda male, ma fingo di non notarlo e proseguo "Potremmo guardare un film di sotto..."

"Non se ne parla. Noi usciamo" afferra la mia giacca e mi carica in spalla, letteralmente.

"Mark, mettimi giù"

"Sei stata zitta fin ora, fallo anche adesso e non lamentarti" ridacchia mentre gli sferro dei pugni alla schiena.
Mi sto seriamente infuriando.

"Mark, smettila! Mettimi giù, subito."

"Silenzio Hall" e mi sferra uno schiaffetto sul sedere. Se la spassa ridacchiando per le scale mentre provo a divincolarmi invano.

I miei occhi, dal basso, incontrano quelli di mio padre, stranito ma al tempo stesso con un sorrisetto stampato in viso.

"Papà aiutami" lo imploro

"Vedo che ci sei riuscito" interviene papà

"Esattamente. Ci vediamo stasera"

"Ma... papà?" e niente, Mark sbatte la porta di casa e mi mette in auto, cintura compresa.
Lo guardo male arrendendomi ormai all'idea di dover stare tra le persone e fingere ancora una volta che vada tutto bene, quando non è così.

"In realtà la macchina non ci serve, mi serviva solo tenerti ferma... quindi tra qualche isolato la parcheggiamo e facciamo due passi, ok?" accarezza delicatamente la mia gamba come solo lui sa fare, con gli occhi fissi sulla strada, attento a tutto, mal con tutto se stesso completamente in me.

"Mi hai già costretta ad uscire, non mi sembra di avere altra scelta... o potere decisionale" lui continua a ridacchiare, un suono che mi calma e mi infonde tranquillità nonostante tutto.

"Ti farà bene" sussurra.
Ne dubito, penso.

Dopo tre isolati parcheggiamo e lui, come sempre, viene ad aprirmi lo sportello. L'aria è gelida, le macchina sono poche, forse quasi nessuna, e non so proprio cosa ci faccio ancora qui, in una città che non è la mia, in una casa che con è la mia, con persone che non sono la mia famiglia, costringendo mio padre e Katie a ritornare qui oggi, per il fine settimana.

"Non devi per forza parlare, puoi anche stare in silenzio... o se vuoi, dirmi cosa pensi" Mark mi cammina accanto ma non mi costringe a tenergli la mano o a camminare come due piccioncini innamorati, che siamo, certo, ma non è sicuramente il momento adatto.

Per la prima volta i mostri che vivono nella mia testa provano ad aiutarmi, mi dicono di tentare, di provare, di uscire da questa gabbia che io stessa ho creato. Anche se propongono due alternative, per una volta, c'è anche quella giusta.


Visto che sono costretta a restare qui, per strada, provo a dirgli ciò che penso da giorni. "Jim, quell'uomo al cimitero" sospiro "mi ha raccontato di sua moglie, è morta anche lei." Resto in silenzio per qualche secondo, ma poi proseguo "Mi hai detto che solitamente la prima cosa che si dimentica delle persone è la voce. Mi ha detto di non riuscire più a ricordare la voce della donna che amava." sospiro ancora "Questo mi ha distrutta. Mi ha distrutta pensare che potesse succedere anche a me." Mark continua a stare in silenzio ed io gliene sono grata "Ma a me non è successo. Se mi soffermo riesco ancora a sentire la sua voce. Quando pronunciava il mio nome, quando rideva, persino quando piangeva.
Quando mi ha detto "Sto bene" mentre la sua vita si stava spegnendo. Se mi soffermo, riesco ancora a sentirla qui con me."

"E' questo che dovresti fare, Meredith, sentirla con te nella tua vita. Nelle cose che fai, nelle cose che vivi, ma se te ne stai lì, ferma, senza neanche provarci... non otterrai nulla se non qualche lacrima." Si ferma e mi guarda, con gli occhi pieni d'amore, pieni di amore solo per me. "Devi vivere il dolore, è l'unico modo per superarlo. Ma non puoi farti abbattere da questo, devi essere forte."
Il freddo crea delle piccole nuvolette non appena uno dei due parla. E so che dovrei dirgli che ci proverò, ma avevo detto che non gli avrei più mentito.

"Non so come fare" ammetto

"Ti aiuterò io, sono qui per te Meredith. Ma devi lasciarmi entrare, devi abbattere queste mura che ti sei costruita in nove anni" poggia la sua fronte alla mia ed io non riesco a smettere di tremare e non per i due gradi di temperatura ma perché le sue parole mi smuovono da dentro. Mi danno speranza, mi fanno credere che posso farcela, con lui al mio fianco.

"Non sarà semplice..." la mia voce, come sempre, mi tradisce, ma a Mark non importa, non importa di avermi vista con lo stesso pigiama per tutta la settimana, con i capelli sporchi e in disordine, con gli occhi scuri dalle occhiaie, gli occhi che tanto gli piacciono. A Mark non importa del mio passato. A Mark non importa quanto difficile io possa essere, mi ama e mi accetta così come sono, errori compresi, e questo mi rende la ragazza più fortunata al mondo.
Gli occhi mi si inumidiscono ma cerco di essere forte, almeno ora.

"Ci sono io piccola, ci sono io" mi attira a sé e con le stesse parole che avrei voluto sentire in nove anni, inizio per la prima volta a fidarmi completamente e davvero di qualcuno, ad aprirmi. Ad abbattere quelle mura. A provarci anche se sarà difficile, anche se sarà doloroso, anche se questo significherà accettarlo.

"Grazie... Mark grazie" la testa premuta sul suo petto e le lacrime leggere a coprirmi il volto. Le sue mani tra i miei capelli e tutto il mio amore per lui.

"Shh" preme le labbra sulla mia fronte, poi sulle mie labbra "Sei tutto quello di cui voglio prendermi cura per i prossimi ottant'anni. Sei tutto quello che amo, Meredith, non devi ringraziarmi" scoppio. Scoppio in lacrime e scoppio di amore per questo ragazzo meraviglioso. E non mi bastano i baci, non mi bastano le carezze, voglio essere impressa nella sua anima come lui è impresso nella mia. Come mia mamma sarà sempre impressa nella mia.
Non so quanto dura potrà essere, ma ci proverò. Ci proverò perché il nostro amore vale la pena di essere vissuto, perché dopo tutto questo non ho più paura dei miei mostri, perché dopo tutto questo ho ancora la forza di amare.
Amare Mark.

I WANT YOU. (SEQUEL "TELL ME WHAT I WANT")Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora