SECONDO CAPITOLO

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  "Il dolore ci porta a fare scelte sbagliate, la paura del dolore è ancora peggio."
( Dr. House ) 



"Ovviamente la tua è la camera che hai scelto la scorsa volta e il tuo amico può prendere quella accanto, oppure se preferite..."

"No, non si preoccupi. Va bene così" Mark sorride mentre porta la mia borsa dentro.

"Oh per piacere, avrò trentacinque anni ma non sono così vecchia. Dammi anche del tu" Olga gli da una leggera pacca sulla spalla mentre io mi dirigo pigramente verso le scale.

"Credo che andremo a dormire, ci vediamo domani, buonanotte e... grazie" mi volto ancor prima che possa rispondere. Odio questi momenti, odio la fragilità. Io non sono fragile. Io non piango, io non crollo più.

"Mi dispiace tanto, Meredith... non avrei mai immaginato una cosa simile. Se vuoi che vada via posso partire anche subito" Mark parla in fretta, come se avesse paura di potermi ferire o farmi crollare, come se si sentisse di troppo o semplicemente nel posto sbagliato. Non sa che è nel posto più giusto in cui possa essere: accanto a me. Non ce l'avrei fatta senza di lui, senza il suo appoggio silenzioso, senza le sue mani nelle mie. Io non ce l'avrei fatta.

"Va tutto bene, Mark. Non voglio che tu vada via, mi sento... meglio, con te. Ma se per te è troppo, se vuoi andar via, lo capirò" e lo penso davvero, mi fa davvero sentire meglio la sua presenza, il fatto che ci sia e basta, senza pretese.

"Farei qualsiasi cosa per te, qualsiasi cosa per toglierti quella espressione dal viso" sorrido e mi volto per entrare nella mia camera, non ha bisogno che io dica altro, sa già quanto gliene sia grata.

Non mi scomodo a disfare il borsone o a fare altro, mi dirigo subito al bagno dove lascio cadere i miei vestiti sul pavimento freddo. Entro sotto il getto d'acqua calda e lascio che questa non solo lavi me, ma ogni mio pensiero cattivo avuto nei confronti di mia madre. Tutte le cattiverie dette e pensate, tutto l'odio provato in questi anni in cui sono stata troppo codarda per avere un confronto con lei. Ho lasciato che i miei demoni vincessero, ho lasciato che mi facessero sentire in colpa per qualcosa che non potevo prevedere, ho lasciato che mi incolpassero e che incolpassero lei per aver contribuito a farmi sentire così. Per anni le ho attribuito la colpa di tutti i miei incubi, delle voci nella mia testa, di quel ronzio che ripeteva e continua a ripetermi "non sei mai abbastanza" anche quando sto raggiungendo il massimo, anche quando a dieci anni ho vinto il concorso di canto che mi ha permesso di vivere una vacanza stupenda. Anche quando sono riuscita a diplomarmi senza problemi. Anche quando Mark mi diceva che ero bella o quando Liam diceva che era lì per me. Quando Mark mi ricordava ogni giorno quanto avrebbe lottato, semmai mi avessero portata lontana da lui. Semmai mi fosse successo qualcosa. Semmai non avessi più voluto lui al suo fianco. Quelle voci continuavano a dirmi che non era vero, che io non sono così importante, che io rovino tutto e che sarò anche la loro rovina. Quelle voci mi hanno rovinata per anni ed io per anni ho attribuito la colpa a mia madre senza lasciarle spiegare, senza capire che, certe volte, l'amore finisce. Avrebbe dovuto dirlo a mio padre e non avrebbe dovuto dare a me la colpa dei suoi sbagli, ma tutti commettiamo degli errori, alcuni peggiori degli altri. Io stessa ho commesso degli errori. Come quando da bambina fingevo di non avere con me i pastelli perché ero troppo egoista per poterli condividere con un'altra bambina. O il semplice fatto di non averle mai dato la possibilità di spiegarsi anche se le ho scritto per un po', il punto è che non ero pronta a sapere cosa lei avesse da dirmi. Non ero pronta a prendere consapevolezza del fatto che non era colpa sua se mi sentivo pazza e senza speranza, ma solo ed esclusivamente colpa mia.
La realtà è che era più semplice credere che in parte fosse colpa sua senza poterla perdonare, senza parlarle. Senza parlarle io non avrei avuto nessuna sicurezza che tutti i miei problemi erano unicamente miei e derivano solo ed unicamente da me. Senza parlarle io non avrei avuto nessuna tentazione di perdonarla e di fatto non avrei avuto la possibilità di perderla di nuovo. Sarei stata salva da un dolore lancinante che la prima volta mi aveva portato all'estremo di me stessa. Mi aveva quasi reso pazza. O lo ero? O lo sono?

Non so quanto tempo sia rimasta sotto il getto d'acqua ma credo abbastanza da farla diventare fredda.

I WANT YOU. (SEQUEL "TELL ME WHAT I WANT")Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora