VENTICINQUESIMO CAPITOLO

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"E, allora avevo l'impressione come se una voce mi chiamasse lontano, e che se fossi andato sempre dritto, sempre, sempre, fino ad arrivare a quella linea dove cielo e terra si incontrano, allora avrei trovato la soluzione dell'enigma che mi angosciava, la visione di un'altra esistenza, mille volte più viva e rumorosa della nostra."

( Fëdor Dostoevskij )


Sono ferma al cimitero.
Osservo le persone. Ce ne sono poche, forse non così tanto poche... ma neanche così tanto tante. Ci sono delle persone.
Alcune vanno via in lacrime, altre visibilmente sollevate.
Chi arriva invece è quasi sempre scosso, alcuni portano dei fiori, altri semplicemente camminano a mani vuote, coperte dai guanti o immerse nelle tasche per il gelo invernale o chi, come me, per il gelo che portano dentro.


Parlano. Quasi sempre, parlano.
Se ne stanno lì per qualche minuto ed osservano quella che credo essere la lapide di familiari o amici.
Parlano e alcuni piangono, altri pregano.
In particolare sono rimasta colpita da un uomo. E' stato lì, davanti quella lapide, per circa mezz'ora. Lo so perché sono qui da quasi due ore e nessuno è riuscito a trovarmi, avranno poca fantasia.
Quest'uomo ha guardato per quasi mezz'ora la lapide che aveva davanti, senza parlare, pregare, piangere, fare qualche cenno, nulla. Ma prima di andar via, prima di lasciare chi aveva da salutare, ha pronunciato lievemente un "Mi manchi." E' stato tremendamente angosciante.
I suoi occhi, il suo viso, il suo sguardo assente qui, ma presente altrove, mi ha ammazzata.
I suoi occhi erano privi di qualsiasi cosa, privi di dolcezza, sensibilità, amore... erano semplicemente assenti e mi chiedo come appaiano i miei. Come appaio io, seduta già nel luogo in cui avverrà il funerale di mia madre a guardare chi, nel proprio piccolo, cerca di liberarsi del dolore.
Lentamente però mi alzo e, attenta che non si giri, mi avvicino alla lapide. Curiosa leggo l'incisione:

"Amelia Jones sorella, moglie e madre amatissima
21 – 07 – 1970
21 – 07 – 2013."

Un nodo alla gola mi assale. Mi stringe e mi avvolge nella sua morsa. Mi opprime, mi priva di qualsiasi cosa mi sia rimasta.
Mi soffoca, sottrae tutta l'aria che ho nei polmoni e la trasforma in coltelli che piazza in gola. Soffocandomi, massacrandomi, uccidendomi.
La pelle brucia al tocco di una leggera lacrima che cade lenta sul viso. Sullo stesso viso di mia madre.

"E' mia moglie" sobbalzo alla suono della voce profonda dell'uomo che era qui fino a poco fa. Mi volto e asciugo veloce le lacrime, consapevole di essere dovrei non dovrei essere e di aver violato la privacy di una persona che vorrebbe, probabilmente, viversi il proprio dolore in pace come d'altronde sto cercando di fare io. Mi sento una ladra, sento di essere entrata nel dolore di qualcuno, di essere un di più in una cosa che non è mia, non mi appartiene.

"Mi... mi dispiace" borbotto "Non.. non volevo... mi scusi" mi volto ma la sua mano scivola sul mio braccio, nessuna pressione, nessun trattenere, un tocco leggero ma che brucia la pelle così come le lacrime di prima.

"Era una donna meravigliosa. Era buona, vera, sincera, bellissima. Lei... lei era bellissima" Mi volto completamente al suono della sua voce spezzata, e i suoi occhi neri, nei miei, mi ricordano gli stessi che ho visto stamattina quando guardavo allo specchio il mio riflesso: vuoti. E allora lo so come appaiono i miei, lo so.

"Mi dispiace tanto..."

"Chi hai perso?" domanda dandomi del tu. "Me stessa" risponderei, ma dovrò sembrargli già abbastanza strana e invadente, quindi provo a rispondere altro, la realtà.

"Mia madre" mormoro, mormoro sperando che non mi senta perché ammetterlo a qualcuno significa che è vero. E se è vero, devo accettarlo ed io non posso, non ci riesco, non riesco assolutamente ad accettarlo e non posso vivere, non riesco a vivere senza lei.

"Mi dispiace tanto" mi mostra la sua solidarietà e stranamente con quest'uomo, nonostante non lo conosca, non sento il peso che mi porto dentro ogni volta che guardo gli occhi di David, di Olga, di papà, di Bairon e persino di Mark. Soffriamo tutti per la stessa causa eppure parlarne sembra così difficile.

"Sai, dicono che la prima cosa che si dimentica di una persona è la sua voce" sorride ironico e, con le mani unite dietro la schiena, fissa la lapide di sua moglie "Ed è così. Io non riesco a ricordare il suono della sua risata o quando diceva di amarmi. Io semplicemente... l'ho rimosso" si volta "Ma non riesco a dimenticare il suo sorriso. Quello non potrei, non potrei mai e poi mai dimenticarlo. Non posso dimenticare le sue ultime parole e né lei." Mi si forma un altro nodo in gola al pensiero di non ricordare più la voce della mamma, di non ricordare più il suono della sua voce e di non ricordarla. Di non ricordare più chi mi ha dato alla luce.

"Ti ho vista prima, lì seduta, da sola" continua a fissare la lapide mentre io continuo a fissare il nulla "L'ho capito subito che eri distrutta" si volta verso di me "Lo capisco da come mi guardi..." senti i suoi occhi bruciarmi la pelle "Perché non mi guardi. C'è solo vuoto nei tuoi occhi" vengo inghiottita dal dolore. Il dolore mi divora, mi fa completamente sua. Provo a respirare in modo equilibrato, di ricordare ai polmoni di farlo, di ricordare al cervello di vivere, al cuore di battere, alle lacrime di restare ferme.

Mi guarda attentamente ma io distolgo lo sguardo, riportandolo sulla lapide di sua moglie.
"Vederti lì seduta, sola, con lo sguardo perso, mi ha riportato a tre anni fa. I tuoi occhi erano identici ai miei. Ancora oggi i miei occhi rispecchiano i tuoi..." con la coda dell'occhio noto che guarda di nuovo la lapide "i miei occhi erano suoi, lei li rendeva vivi, e non potranno mai essere vivi se lei non c'è. Non del tutto." Assimilo le sue parole e lascio che continui "Ma più di tutto non vedevo via di uscita. Solo questo posto" mi guardo intorno e so di aver pensato che questo fosse il posto migliore per restarmene da sola nel mio dolore, per soffrire urlando nel mio silenzio "questo posto era diventato il posto più tranquillo di tutti, quello che mi infondeva più sicurezza... ma poi, col tempo, ho capito che quello che sentivo qui, o quando ero a casa, o quando ero in giro, non cambiava. Provavo lo stesso dolore, gli stessi ricordi, la stessa angoscia. Ma soprattutto ho capito che lei non avrebbe voluto, che avrebbe voluto altro, per me." Sospira "Cosa vorrebbe tua madre?" resto a bocca aperta di fronte alle parole di quest uomo che no, lo assicuro, non mi conosce ma sembra conoscermi alla perfezione. Come se in dieci minuti avesse capito molto di più di quello che molti altri non capiranno mai.

Prendo un grande respiro e poi butto via tutta l'aria, ma niente, non serve a mandare via quel peso sullo stomaco ma il vuoto nel cuore.
Si volta sorridendo leggermente "Quello che voglio dirti è che sarà difficile, forse impossibile i primi tempi. Non ricordare la sua voce o forse le rughe sul viso quando si arrabbiava ti ucciderà... ma se ce l'hai dentro" guarda la lapide e poi riporta il suo sguardo su di me "se ce l'hai dentro, nulla potrà portartela via.
Il dolore c'è ancora oggi, non è scomparso, anche questo non andrà mai via, ma si impara a conviverci. Col tempo ti sentirai meglio"

Mi volto a guardare ancora la lapide di sua moglie e quel nodo allo stomaco continua ad esserci, continua a mangiarmi viva senza avere un minimo di pietà. Il pensiero di non ricordare più la voce della mamma, il suo viso, o qualsiasi altra cosa... mi ammazza. Mi divora l'anima. Ma poi ricordo, capisco, rammento nel modo più doloroso possibile, che fin quando avrò uno specchio in casa, non potrò mai dimenticare il suo sorriso o l'intensità del suo sguardo.

"Meredith" Mark mi attira a sé e mi stringe, forte, fortissimo. Così forte che quasi non respiro e vorrei che stringesse di più, proprio per smettere di respirare. Smettere di sentire qualsiasi cosa sento ora e sentirò nei giorni successivi.
Non voglio provare dolore, non voglio sentirmi impotente, non voglio sentirmi debole, non voglio sentirmi fragile, non voglio sentirmi così.
Voglio essere forte.
Stringo forte gli occhi e premo il mio viso sul cuore di Mark, l'unica cosa che mi ricorda che sono viva è il suo battito veloce.

"Sono il suo fidanzato, Mark" porge la mano a... ora mi rendo conto di non esserci neanche presentati.
"Jim" stringe la mano di Mark e porta le sue gemme nere nei miei occhi, come ad accettarsi che io stia bene, che puoi lasciarmi andare. Ma la realtà è che non sto bene e nessuno dovrebbe lasciarmi andare da nessuna parte.
Annuisco accertandogli che starò bene anche se sappiamo entrambi che dal dolore della morte non si guarisce mai.

"Va bene, Meredith, io torno a casa. Pensa a cosa ti ho detto, non struggerti... vivi bene." Lo guardo a lungo, come se volessi da lui la risposta a tutto, ma non ci sono risposte alla morte. Annuisco e Jim sorride "Mark" lo saluta con un cenno del capo e poi si allontana piano.
Continuo a tenermi stretta al mio amore, continuo a sperare di soffocare, continuo a pensare a come affrontare il tutto ma nessuna sembra la scelta giusta.

"Chi era?" domanda Mark, è preoccupato di chi fosse quando dovrebbe preoccuparsi dei mostri che vivono nella mia testa, sono peggiori di tutti quelli che mi circondano.

"Qualcuno che non ha smesso di soffrire" e raggiungo il mio posto per la messa funebre.

I WANT YOU. (SEQUEL "TELL ME WHAT I WANT")Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora