"Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita [... ] e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà."
( Fëdor Dostoevskij )
Riprendersi dalle ricadute non è mai facile. A volte è molto più difficile del riprendersi dalla caduta stessa.
La mia, però, non la chiamerei una vera e propria ricaduta.
Prima c'era la droga, la depressione e tanto tanto odio. Nelle ultime settimane, invece, mi ha accompagnata la disperazione. La depressione era alla porta, qualche volta ha fatto capolino ed io non ho saputo dirle di no. L'ho accettata, così come ho accettato il dolore, così come ho accettato che mia madre non tornerà più indietro. Che non farà più parte della mia vita, almeno non fisicamente.
Nelle ultime settimane, però, ho imparato ad accettare l'amore. Ad aprirmi anche se a piccoli passi.
Nelle ultime settimane ho parlato di più, riso di più, pianto di meno, finto di meno. Nelle ultime settimane ho capito che ciò che conta davvero è averla con me, dentro di me, e se non posso averla fisicamente posso almeno averla nei miei ricordi.
Nelle ultime settimane sono cresciuta, maturata, ma non ho avuto coraggio di uscire di casa.
Ogni volta "era troppo presto", o "c'era troppo freddo", insomma, tutte scuse perché non ci riuscivo.
Non ci riesco neanche ora, a dire il vero. Ma tra due giorni ritornerò al college, che mi piaccia o no. Prima di questo, però, ho bisogno di fare una cosa molto più importante: andare a trovare mia madre.
Per questo adesso sono in macchina con Mark, il quale non mi ha mai lasciato. Mai.
E' stato sempre al mio fianco anche nei giorni in cui ero intrattabile, anche nei giorni in cui la disperazione era troppa e la depressione faceva a pugni contro la mia testa, contro il mio cuore.
Anche quando la tentazione di ritornare com'ero, chi ero, era grande. Anche quando l'unica cosa a cui pensavo era come smettere di soffrire.
Ma ho vinto io.
Ho vinto la mia battaglia e non mi sono arresa.
Ho sofferto. Ho sofferto e ho pianto, ho maledetto me stessa ed il mio cuore per il solo fatto di provare sentimenti.
Ho odiato il mio cuore e il fatto che non sapesse smettere di amare nonostante tutto, ho odiato me stessa per il solo fatto di riuscire a pensare quanto fosse bello Mark, quanto lo amassi, in un momento del genere. Ho odiato me stessa perché le lacrime erano troppe ed io avevo bisogno di dormire.
Ho odiato il mio viso perché ogni specchio in cui mi riflettessi, rifletteva automaticamente il suo. Ho odiato i miei occhi perché riuscivo a vedere solo i suoi.
Mi sono presa a pugni da sola quando ho pensato che la droga potesse essere ancora una volta la scelta giusta.
Ho provato a prendermi a schiaffi, ma non faceva abbastanza male. Sono passata ai pugni, ma era ancora troppo poco.
Così ho ripetuto ciò che era già successo: ho sferrato un pugno allo specchio. Si è rotto in mille pezzi, la mano ha sanguinato e tutti, ognuno in quella casa, urlava e mi chiedeva come stessi: sempre uguale. Il dolore era ancora lì e la voglia di farlo smettere anche. Continuavo a fissare i suoi occhi nel pezzo di specchio ancora integro, e l'unica cosa che leggevo era: fallo.
Ma non l'ho fatto.
Ho urlato e pregato che finisse, ancora una volta ho pregato che finisse.
Ecco una costante degli ultimi giorni: ho pregato per mia madre, per mio padre, per queste meravigliose persone che hanno continuato ad ospitarmi per ben quattro settimane.
Ho pregato per Mark, affinché avesse solo ciò che lo rende felice. Anche se questo non comportava me. Anche se questo poteva escludermi.
Ma non l'ha fatto. Mark è stato sempre più presente. Sempre più mio ed io non potrò mai ringraziarlo abbastanza. Niente di tutto quello che potrò mai fare sarà mai abbastanza.
Mi è stato accanto in tutto, anche quella sera in cui ho passato un'ora e 33 minuti allo specchio, a fissare sempre e solo i suoi occhi. Mi chiedevano anche lì di smetterla, di fare l'unica cosa davvero in grado di farmi stare bene.
Ma anche in quel momento, nonostante ci siano voluti 93 minuti, ho vinto io.
Non erano i suoi occhi a parlare, erano i miei mostri. Si erano impossessati di qualcosa che non era di loro proprietà. Qualcosa che è riservato solo a mia madre, solo a me.
Hanno provato a convincermi ed una cosa, però, l'ho imparata. Provano ad aiutarmi.
Mi abbattono e poi provano ad aiutarmi, ma sono troppo deboli. Sono troppo deboli per affrontare la realtà, il dolore.
Mi spingono verso la droga perché non saprebbero come fare per affrontare tutto, io però no.
Io non sono più così. Io sono forte.
Io ho vinto.
"Sei pronta?" stringo forte la mano di Mark ed annuisco, timorosa ma sicura di farlo.
"Non lasciarmi la mano" mormoro incamminandoci verso la lapide della mamma.
"Non potrei farlo neanche se volessi, mi hai quasi strappato il braccio"strofina la mano libera sul braccio che stringo forte fingendo un'espressionedolorante, il mio piccolo attore.
Sorrido, so che capirà una mia non risposta.
Tutto è esattamente com'era l'ultima volta sono stata qui. Sono io ad esserediversa, più consapevole, più forte.
In parte sembra essere passata una vita da quando ero qui al suo funerale, e inparte sembra essere passato troppo poco per essere di nuovo qui.
Fisso la sua lapide, inondata di foglie troppo gialle per stare accanto aifiori che le ho portato, i suoi preferiti.
La fisso e penso a quanto mi manchi e a quanto mi mancherà, a quanto saràsempre difficile essere consapevoli di non avere più una madre. La fisso, tramille lacrime ma lieta di essere qui.
Mi chino piano e spazzo via le foglie, perché non le renderebbero giustizia.Non era autunno, non era inverno. Lei era piena primavera, piena vitalità e nonsi sarebbe mai accontentata di qualcosa di freddo, di qualcosa di spento.
Aspirava solo al meglio ed il meglio avrà, sempre.
Anche ora che non c'è più.
"Mi manchi tanto" ammetto piano, in modo che solo noi due possiamo sentirci.
Non può rispondermi, ma lo so, lo so che nel cielo freddo di febbraio staurlando a squarcia gola "Anche tu, anche tu mi manchi."
"Lo so" le rispondo, "anche tu sei tutta la mia vita, mamma. Per sempre."
E anche ora lo so, lo so che sta urlando quanto mi ama. Che sarò sempre suafiglia, anche da lassù.
****
Fisso per l'ultima volta la mia stanza, quella che solo qualche mese fa lamamma mi aveva affidato con tanta gioia.
Era mia.
Una camera tutta mia con la mamma, con la mamma accanto a me.
Ricordo la prima volta in cui sono arrivata qui, per scappare dai mieisentimenti, perché ancora una volta ero troppo codarda per affrontare le cosecosì come sono. Avevo bisogno di distrarmi, di non pensare a quello che volevoe quello che non potevo, avevo bisogno di zittire le voci nella mia testa.
Ero incerta, non capivo se fosse o meno la scelta giusta ma in qualche modo il mio cuoremi aveva portato qui.
E non aveva sbagliato, non ha sbagliato.
Inizialmente troppo fredda e impersonale questa stanza adesso è ciò che più hodi familiare. Di nostro.
E mi mancherà tutto, dal letto super morbido alle tende super lussuose dellamamma. Ma soprattutto mi mancherà potermela figurare lì, ai piedi del letto cheprova a farmi ridere, che prova a riconquistare il cuore di sua figlia senzasapere che era già suo. Quel pezzo non andrà mai via. Mai.
Così come questa meravigliosa famiglia che mi ha accolto, sopportato e supportato.
"Ci mancherai tanto" David è al mio fianco, impeccabile come sempre. Con gliocchi di un secondo padre che deve lasciar andare la sua figliastra troppopresto. Ma che senso avrebbe per loro farmi restare qui, se la mamma non c'è più? E' la scelta migliore.
"Anche voi, tantissimo" sussurro.
"Io..." si schiarisce la voce "spero che questo non sia un addio e che cirivedremo presto. Tua mamma è stata e sarà per sempre l'amore della mia vita. E'la donna migliore che io abbia mai conosciuto. La migliore..." mi volto e guardoverso una delle persone migliori che invece io abbia mai conosciuto.
"Tu sei stata la figlia che non ho mai avuto, la figlia che avrei voluto. E sodi non poter rimpiazzare tuo padre ma..." asciuga una lacrima "noi tutti speriamodi poterti rivedere presto. Questa è ancora casa tua. E' casa tua. E noi partedella tua famiglia. Se tu vorrai potremmo vederci ogni fine sett..." non gli do modo di concludere, mi fiondo su dilui e lo stringo forte. Stringo forte quest'uomo. Un uomo vero.Stringo forte chi per giorni e giorni mi ha tenuto la mano anche quando nonvolevo essere stretta, anche quando io stessa avevo abbandonato me.
Stringo il mio secondo papà ringraziando Dio per avermi donato la vita epersone magnifiche con cui condividerla."Ti voglio bene tesoro" sussurra tra le lacrime
"Anche io, non immagini quanto" e ringrazio la mamma, perché oltre ad avermidonato un amore incondizionato, ha fatto sì che anche altre persone lofacessero.
Ha permesso che superassi i miei demoni, le mie paure, che mi lasciassi amare.
Mi ha resa libera.
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I WANT YOU. (SEQUEL "TELL ME WHAT I WANT")
RomanceSettantuno giorni. Solo settantuno giorni prima che sua madre muoia. Settantuno giorni a disposizione per perdonare. Settantuno giorni in cui le voci nella sua testa le ricorderanno costantemente ciò che era e ciò che sarà. Settantuno giorni che...