VENTISETTESIMO CAPITOLO

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"Avevo fame, ma non di cibo. Volevo ridere, ma non c'era niente che mi divertisse. Tutto ciò che mi emozionava un tempo adesso non mi faceva più battere il cuore."

( Penelope Douglas )


I giorni non passano mai, o forse volano.
Non saprei, sono passati solo due giorni eppure a me sembra essere passata un'eternità da ieri mattina, da me al funerale, da me senza lei. Ma poi mi sembra di vedere ancora il suo viso su questo letto.
Il letto che non faccio altro che fissare.

Dopo il funerale mi hanno portata a casa, hanno provato a farmi mangiare qualcosa ma a me non andava, non va neanche ora ma dicono che ne ho bisogno. Anche di bere o di dormire, ma io sto bene qui.
Così, durante il pranzo, ho spostato lentamente la sedia dal tavolo e mi sono diretta nella stanza di mia madre. Guardare il suo letto mi da conforto.
Almeno così credevo fino a quando, ieri sera, sono scoppiata in lacrime perché anche le coperte mi ricordano lei, anche la carta da parati e persino la piccola crepa che c'è sul pavimento, impercettibile ma che io ho imparato a distinguere quando avevo gli occhi fissi qui giù, quando il suo sguardo era troppo da reggere.
Tutto mi ricorda lei ed ho provato ad andar via, uscire da qui, ma niente.
Non riesco più a prendere il controllo delle mie scelte, delle mie azioni, dei miei pensieri, della mia vita. Sono diventata l'ombra di me stessa.

Mi sento come se il tempo stesse portano via me stessa, oltre che mia madre.

Ci si può sentire senza vita ancor prima di morire?

L'ho desiderato. L'ho desiderato così tante volte e così ardentemente che sentirmi morta, all'epoca, probabilmente sarebbe stato un lusso. Forse dovrei morire e basta. Forse sarebbe la scelta più saggia, la scelta migliore per tutti. Gli altri se la caverebbero, farebbe male all'inizio ma poi passerebbe. Tutto passa. O tutto si supera? Sicuramente col tempo ci si abitua. Ecco, si abituerebbero alla mia assenza.

Se il mio destino è quello di restare sola, tanto vale morire. E' l'equivalente della solitudine. Una morte lenta e atroce che può durare secoli e chi lo sopporta un dolore così? E chi sopporta una tortura così? Meglio le morti veloci. Quelle che accadono senza neanche rendertene conto.

E' questo che dovrei fare. Forse ci sono dei rimedi, delle cure per morire... forse potrei provare con l'eutanasia. Chissà se per loro l'infermità mentale e la depressione siano abbastanza. Se sia sufficiente per uccidermi e basta.

Tanto sono già morta. Sono morta e nessuno lo sa. O forse sì. Forse lo sguardo preoccupato degli altri significa che l'hanno capito. Forse lo sanno.

Li sento parlare, li sento bisbigliare continuamente. Credono che non li ascolti solo perché non rispondo. Ma li ho sentiti parlare stanotte. Erano fuori la porta a fissarmi, mentre io fissavo il letto di mia madre ormai vuoto.

"Forse dovremmo riportarla a casa" ha suggerito Mark. Il mio povero, dolce e ingenuo amore. Come se questo potesse farmi sentire meglio.

"Io penso sia meglio un medico, non possiamo rischiare che cada di nuovo in depressione" ha risposto saggiamente mio padre. Sono già depressa, avrei urlato se solo non rischiassi di strozzarmi con le lacrime che trattengo in gola. Potrei affogarmi con le mie stesse lacrime, il mio stesso dolore.

Nessuno capisce che niente, nessun dottore potrà mai curarmi o potrà mai avere la cura al mio dolore, solo la morte potrà riportarmi in vita. Solo morire, finalmente, mi concederà di vivere.

Ora sono diventata anch'io come loro, come quelli che vanno al cimitero.

Ma anziché la lapide, preferisco fissare il suo letto vuoto. Lo guardo e continuo mentalmente a ripeterle "Aspettami. Quando questo dolore finirà, quando morirò, ti raggiungerò per vivere in eterno con te." E poi finisco sempre col ridere nervosamente e sferrare qualche pugno al letto vuoto, solo perché è vuoto e non c'è lei. E spero, spero e spero sempre che quel giorno in cui anche il mio sarà vuoto, arrivi presto.


Ora è sera, non sono scesa per pranzo e neanche per cena. Mi sono mossa solo nel pomeriggio, quando avevo davvero bisogno di far pipì. Ho bevuto dell'acqua, poi sono tornata qui.
Il suo letto mi infonde sicurezza, la sento più vicina se fisso quelle coperte, mi illudo che se ne stia ancora lì, comoda, a guardarmi e a sorridermi, come se non ci fosse nessun altro se non noi.

"Meredith" David bussa, lo sento ma non rispondo.
"Meredith, come stai?" domanda ancora. Lo sento, ma non rispondo.

Con la coda dell'occhio vedo David, mio padre e Mark avvicinarsi cauti, quasi come se avessero paura di una mia reazione, ignari del fatto che seppure cadesse il mondo, io resterei comunque incollata qui. Accanto a lei, almeno metaforicamente.

La mano dolce e mia di Mark si poggia leggera sulla mia schiena, a consolarmi, a tenermi ancora qui.

"Perché non provi a dormire?" domanda piano il mio dolce amore. Non capiscono che non ho bisogno di nulla, non ho bisogno di dormire, bere o mangiare se non ho lei qui, perché se lei non è qui allora non ci sono neanch'io. Ho bisogno di abituarmi al fatto che lei non ci sarà più o non potrò mai, mai e poi mai respirare ancora in sua assenza.

Non rispondo, conoscono già la mia risposta.
Sento i loro occhi fissi su di me, su quella che dovrebbe essere forte ma proprio non ci riesce. Provo a non incrociare lo sguardo di nessuno tenendo il mio fisso sul motivetto della trapunta.

Avverto la mano di Mark sulla mia schiena, scende piano e poi risale su, in una sequenza che mi innervosisce. Prova a darmi conforto ma dovrebbe saperlo che ormai è tutto inutile.

"Si sistemerà tutto..." sussurra piano, ancora una volta come se avesse paura di una mia reazione. Tutti, qui dentro, hanno paura di una mia reazione.
Odio che mi si dica che si sistemerà tutto perché so che non è vero. Non sarà mai più lo stesso senza la mamma. Mai più.

Mio padre si fa avanti "Andrà tutto bene, vedrai."

"Smettetela" urlo "Smettetela di dirmi che andrà tutto bene perché so che non è così" mi alzo lasciando cadere la mano di Mark e portando le mie alle tempie. Non ne posso più. Non voglio più sentire nulla, vedere nulla, non voglio più nulla. "Smettetela, ok? Smettetela. Basta. Basta. Basta!" le mie mani stringono forte attorno alla mia testa, quasi in un movimento spontaneo, quasi a strizzarmi tutta per far uscire quello che non va, quello di troppo. Ma non cambia nulla.
"Meredith" urla mio padre cercando di afferrarmi ma io mi scanso, non ne ho bisogno. Sono forte, sono forte, sono... "Basta, vi prego basta" non so più distinguere quali siano le urla e quali le lacrime, se ciò che ho detto l'ho detto realmente o solo nella mia testa. Non lo so, non so più niente.
"Basta" sussurro ancora, e lo dico a me stessa, perché non ne posso più di vedermi così. Lo dico a me stessa perché dovrei combattere e invece lascio vincere il dolore arrendendomi senza mai alzare un dito, senza mai dire "Posso farcela", lo dico a me stessa e al mio cuore che non ce la fa più a reggere tutto questo.
Le lacrime arrivano fino al cuore ormai pieno di crepe e nel frattempo crollo tra le braccia di Mark che, anche nella bufera, mi tengono calda.

Sono in soggiorno. Credo di aver dormito qualche ora, o forse di più, so che fuori è di nuovo giorno. Non so esattamente che ore sono, ma il sole è alto e forse avevo davvero bisogno di dormire.
Il fuoco anche stavolta mi tiene compagnia, mi riscalda anche se il mio cuore resterà gelido a vita.
Le fiamme sono irregolari: alcune più alte, alcune più basse e non posso fare a meno di pensare che è esattamente come la vita, con degli alti e dei bassi. Il punto è che io mi sento costantemente come se fossi sul punto di spegnermi e qualcuno, una persona qualsiasi, dovesse far di tutto per attizzare il fuoco dentro di me. Per non farmi spegnere.

"Ho pensato che volessi un The caldo" La dolce voce di Katie si introduce piano nella mia calma confusione "così ho chiesto ad Olga di potertelo preparare" prende posto alla mia sinistra, porgendomi la tazza fumante di Thè.
Avrò dormito ore ma continuo a non averne voglia. Non ho voglia di mangiare, non ho voglia di bere, non ho voglia di nulla. Ma, visto che risulto già pazza e soprattutto, per gentilezza, sorrido e prendo la tazza.

Ricambia il mio sorriso incerta, vederla qui senza parole mi stupisce, considerando che è una delle poche persone che io conosco a saper pronunciare così tante parole in un lasso di tempo così breve.
Forse anche per lei questo è tutto assurdo, forse anche per lei il dolore è incurabile. O forse sì. Se per lei esiste una cura, che allora mi curi.
Ma resto in silenzio.

"Fuori è una bella giornata" lo sento che è incerta, che non sa cosa dire e come farlo, annuisco ma in realtà questo non posso saperlo perché non esco di casa da giorni.
"Qualsiasi cosa tu abbia bisogno, un consiglio riguardo gli studi, riguardo Mark, riguardo qualsiasi cosa, se hai bisogno di un'opinione, anche solo se ti va di parlare... puoi contare su di me, Meredith" so che lo pensa davvero, so che mi vuole del bene e so che è sincera ma ora non ho bisogno di chiacchiere ma solo di tranquillità.
Annuisco ancora e le sorrido, perché apprezzo davvero il suo sforzo e lo sforzo continuo di chi mi circonda, ma a me servirà più di qualche giorno per abituarmi di nuovo alla sua assenza.

"D'accordo, beh..." si strofina le mani sulle ginocchia "ti lascio sola al tuo the"  si avvia all'uscita.

"Katie?" le dico piano

"Sì?" si blocca sulla soglia del soggiorno

"E sulla morte?" si volta "Non hai nessun consiglio, per la morte?" la mia voce è un sussurro.

"Tesoro, l'unica cosa a cui al mondo non c'è rimedio..." sospira "è la morte" e si allontana, lasciandomi al mio the e a quello che non mi porto più dentro.

I WANT YOU. (SEQUEL "TELL ME WHAT I WANT")Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora