Prologo

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Mitsuo Ando stava sognando di nuotare quando si svegliò di soprassalto. Lo squillo del telefono si sovrappose al ru­more del mare e lo strappò immediatamente al sonno, co­me se fosse stato sospinto da un'onda. Allungò il braccio e sollevò la cornetta. «Pronto...?»

Dall'altra parte sentì solo silenzio.

«Pronto, chi parla?» ripeté, alzando il tono.

Gli rispose allora una donna, con una voce tanto inquie­tante da mettere i brividi: «L'hai ricevuto?»

Non appena ebbe riconosciuto la voce, Mitsuo avvertì un subitaneo moto di sconforto e si sentì trascinare sul fondo di un baratro, avvolto dalle tenebre. Gli riaffiorarono alla mente, nitide, le immagini del suo incubo: era in riva al ma­re quando giungeva un'onda enorme, che lo inghiottiva al­l'improvviso. Lui veniva risucchiato dall'acqua, diventan­do una sorta di burattino soggiogato dall'impeto dei flutti, impotente e incapace di distinguere l'alto dal basso, la de­stra dalla sinistra... Poi, come succedeva ogni volta, avver­tiva il tocco di una piccola mano che gli tastava il polpaccio. Sempre, quando sognava l'oceano, riviveva la sensazione di quella mano di bimbo che gli sfiorava la gamba. Quelle cinque dita, simili a un anemone di mare, gli scivolavano lungo il polpaccio, per poi inabissarsi. Ciò provocava in lui un'insopportabile sensazione d'impotenza... Era convin­to che avrebbe potuto trattenere il bambino prendendogli semplicemente la mano, tuttavia non riusciva mai ad affer­rarla. Il corpicino continuava a muoversi verso il basso, la­sciando nella mano di Mitsuo solo qualche capello fine co­me la seta. In quel momento, la voce della sua interlocutrice al telefono gli ricordò con fastidiosa chiarezza quella sensa­zione: ciocche di capelli che gli scivolavano tra le dita.

«Sì, l'ho ricevuto», rispose con voce spenta.

In effetti, il modulo per la domanda di divorzio, firmato e timbrato dalla moglie, gli era arrivato due o tre giorni pri­ma. Era sufficiente che Mitsuo, a sua volta, lo firmasse e vi ponesse il suo sigillo, perché il documento fosse pronto per la funzione cui era destinato.

Tuttavia Mitsuo non si era ancora deciso a farlo.

«Quindi...?» riprese la moglie in tono grave.

A Mitsuo non piaceva il modo brusco con cui affrontava la questione: si trattava di una sciocca formalità, che aveva però lo scopo di mettere fine a sette anni di matrimonio. «Cosa vuol dire 'quindi'?»

«Sto aspettando che tu lo firmi e che me lo rispedisca in fretta.»

Mitsuo scosse la testa. Tante volte aveva cercato di con­vincerla a ripartire da zero. Ma la moglie si era sempre op­posta, determinata a lasciarlo, ponendo condizioni irrealiz­zabili per la ripresa del loro matrimonio. Cominciava a es­sere stanco di quelle richieste, che offendevano il suo amor proprio. «D'accordo. Farò come vuoi tu», replicò, benché volesse dire il contrario.

Per un istante, la moglie rimase in silenzio, poi riprese con voce leggermente roca: «E... che ne dici adesso?»

Voleva ancora delle spiegazioni. «Che ne dico di cosa?» ripeté Mitsuo, interdetto.

«Be', di quello che mi hai fatto, è chiaro.»

Mitsuo strinse la cornetta e chiuse gli occhi, premendo con forza le palpebre. Anche quando saremo divorziati, conti­nuerà a chiamarmi per accusarmi delle stesse cose, tutte le matti­ne? Trovò quell'idea deprimente. «Mi dispiace.»

Il modo meccanico, senza sentimento, con cui l'aveva detto, parve ferire la moglie. «Chissà com'è carino in que­sto momento...» riprese lei.

«Non dire sciocchezze, per favore.»

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