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Mentre pranzava, Mitsuo osservava i bambini che giocava­no sull'altalena e sul dondolo sotto gli alberi, nel parco di fronte alla biblioteca. Il ristorante, pieno fino a quel mo­mento, cominciava a svuotarsi. Mitsuo aveva sistemato il foglio coi risultati delle analisi accanto al suo piatto di allu­minio, ma non gli prestava molta attenzione, attirato dalla scena che si svolgeva sotto la finestra. Non riusciva a fare a meno di scrutare, attraverso la vetrata, quei bambini alle­gri. Li seguiva con lo sguardo e il pensiero andava a suo fi­glio, senza che lui potesse far nulla per impedirlo.

Due anni prima, quando viveva ancora ad Aoyama, una domenica pomeriggio si era ricordato all'improvviso che gli mancava un documento per una riunione con altri ricer­catori e, insieme col figlio, si era diretto in biblioteca, la stessa in cui si trovava quel giorno. All'ingresso, però, c'era un cartello che indicava: VIETATO L'ACCESSO AI MINORI DI DICIOTTO ANNI e, non potendo lasciare il bambino da solo mentre lavorava, lui aveva rinunciato alle sue ricerche. Così era andato nel parco e aveva giocato col figlio, spingendo a lungo l'altalena. E in quel momento, sulla stessa altalena, sotto un ginkgo dalle foglie ormai ingiallite, si dondolava un altro bambino. Mitsuo non riusciva a scorgere l'espres­sione sul suo viso, mentre piegava e distendeva le gambe per darsi slancio, ma nei timpani gli risuonava ancora la voce del figlio. Aveva tre anni, a quel tempo...

Non voleva assecondare quei pensieri. Così si concentrò di nuovo sul foglio e prese una biro. L'unico modo per ri­solvere il messaggio che aveva sotto gli occhi consisteva nello stabilire un'ipotesi, tentare di metterla in pratica e, se non funzionava, abbandonarla rapidamente. Per un co­dice di circa venti caratteri non poteva affidarsi soltanto al­le tabelle statistiche. E non era scontato che dovesse ricorre­re al metodo della sostituzione. No, doveva procedere per eliminazione, valutare un'ipotesi dietro l'altra e provarle con sistematicità finché non avesse trovato quella giusta.

Si chiese se non avesse scartato troppo in fretta un'altra possibilità. In effetti, si disse, poteva anche trattarsi di un anagramma.

Mitsuo fece ritorno in sala lettura e provò di nuovo la suddivisione a gruppi di tre:

ATG GAA GAA GAA TAT CGT TAT ATT CCT CCT CCT

CAA CAA CAA

Poco prima, aveva giudicato improbabile l'esistenza, nella lingua inglese, di tre lettere uguali l'una in fila all'altra e aveva scartato quel tipo di raggruppamento. Ma, sostituen­do alcune lettere con altre, quell'ipotesi tornava valida. Scrisse un messaggio con diverse lettere ripetute:

OOOOEEEBBDDTPNHR

Se alcune lettere venivano scambiate con altre, secondo un certo criterio, era possibile ottenere una frase di senso com­piuto, come: Bob opened the door, cioè «Bob aprì la porta».

Ma certo, poteva funzionare!

Mitsuo stava per dar fiducia a quel metodo, quando si rese conto che si trattava di convertire ogni gruppo di tre caratteri con una lettera dell'alfabeto, per poi sostituirla con un'altra ancora... Avrebbe richiesto troppo tempo. Ave­va bisogno di una chiave d'accesso, per scoprire come sta­bilire le corrispondenze, altrimenti le possibilità sarebbero state così tante da rendere impossibile la scelta di quella corretta, com'era già accaduto per i gruppi da due lettere. Arrivò a pensare che la chiave potesse trovarsi nel primo messaggio di Ryuji. Le cifre 178 136, corrispondenti alla parola RING, indicavano forse l'ordine di coincidenza delle let­tere. In tal caso, però, sarebbe stato necessario determinare con precisione l'alfabeto.

Lasciamo perdere.

Doveva cambiare il corso dei suoi pensieri.

Si rendeva conto che, sebbene volesse passare in rassegna tutte le possibilità e procedere per eliminazione, si ostinava a seguire lo stesso tipo di ragionamento. Si era forse attacca­to troppo all'idea che un gruppo di lettere, due o tre che fos­sero, dovesse corrispondere a un carattere alfabetico?

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