La sparizione

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Mitsuo cominciò a innervosirsi: era passato più di un quar­to d'ora dall'orario fissato per l'appuntamento. Estrasse la sua agenda per verificare ancora una volta: venerdì 9 no­vembre, alle sei, all'uscita ovest della stazione di Shibuya, davanti alla statua eretta in onore del fedelissimo cane Hachiko, che aveva continuato ad attendere il suo padrone per dieci anni dopo la morte di quest'ultimo.

No, non si era sbagliato. Il giorno, l'ora e il posto erano esattamente quelli convenuti con Mai.

Fece con calma il giro della piazza, in mezzo alla folla, e si fermò a osservare una donna che somigliava a Mai. La scrutò per qualche istante poi si rese conto che non era lei.

Era in ritardo di mezz'ora, ormai. Si era forse dimentica­ta del loro appuntamento? Mitsuo entrò in una cabina tele­fonica e compose il numero della donna. Lasciò squillare sei, sette volte. Mai gli aveva spiegato che abitava in un pic­colo monolocale.

«È minuscolo. Sette-otto metri per lato, al massimo», aveva detto.

Decimo squillo. Era evidente che Mai non era in casa. Senza dubbio aveva avuto un imprevisto, che l'aveva fatta ritardare e in quel momento stava andando verso il luogo dell'appuntamento. Mitsuo riagganciò il ricevitore.

Continuava a guardare l'orologio. La stava aspettando da quasi un'ora.

Alle sette in punto ci rinuncio e me ne vado.

Era da tanto che non aveva più appuntamenti con una donna. Quanto l'avevano fatto aspettare, di solito? Pensan­doci bene, non gli era mai capitato di attendere così a lungo. Quando corteggiava sua moglie, lei arrivava sempre puntuale. Lui, forse, aveva ritardato qualche volta, ma lei non l'aveva mai fatto aspettare.

Non si decideva ad andarsene, però. In cuor suo, spera­va ancora che Mai potesse arrivare e si ripeteva: Dai, aspetto ancora cinque minuti. Era una settimana che si preparava a quell'incontro, con crescente impazienza. Non se la sentiva di rinunciarci così facilmente.

Alla fine, attese per un'ora e mezzo, circondato dalla gente che affollava la piazza di Shibuya. Ma invano.

Entrato nell'hotel, si diresse alla reception e chiese in quale sala si stava svolgendo la serata d'addio. Aveva declinato l'invito alla festa in onore di Funakoshi, ma, visto che il suo appuntamento con Mai era saltato, non c'era più ragio­ne di non prendervi parte. Cominciava a far freddo e l'idea di tornare a casa, dove non avrebbe trovato nessuno ad aspettarlo, dopo aver passato tutto quel tempo in mezzo al­la folla giovane e vivace di Shibuya, gli era sembrata troppo triste. Per una volta, si era detto, non gli avrebbe fatto male divertirsi con un gruppo di amici... Così aveva deciso di re­carsi alla festa, a mo' di compensazione per l'appuntamen­to mancato con Mai.

Il rinfresco ufficiale stava per terminare; amici e colleghi, in gruppetti di tre o cinque persone, discutevano allegra­mente. Alla prima parte della serata avevano preso parte anche docenti e luminari dell'università; adesso la festa sa­rebbe proseguita in un luogo meno formale, solo tra amici. Mitsuo era arrivato al momento giusto.

Fu Miyashita il primo a notarlo. Gli si avvicinò e gli batté sulla spalla: «Cos'è successo? Non avevi un appuntamento galante?»

«Mi ha bidonato», confessò Mitsuo, sforzandosi di assu­mere un tono gioviale.

«Ah, peggio per te! Vieni, vieni...» Prendendo l'amico per la manica, Miyashita lo trascinò in un angolo, vicino alla porta. Tuttavia non aveva l'aria di chi volesse fargli ulte­riori domande sul suo appuntamento mancato.

«Cosa c'è?» chiese Mitsuo, sospettoso.

Miyashita sembrava sul punto di dirgli qualcosa, ma il professor Yasukawa, primario di chirurgia, passò di fianco a loro.

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