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Mitsuo si trovava davanti alla banca, nel luogo concordato con Miyashita. In quella serata di festa, con tutte le serran­de abbassate, intorno all'edificio regnava un'atmosfera stra­namente tranquilla. Con gli occhi fissi sulla strada buia, cercando di scorgere da lontano l'amico, Mitsuo non riusci­va a togliersi dalla mente la sagoma della donna dell'ascen­sore. Durante tutto il percorso fino a Tsurumi, prima trasci­nandosi per strada come un sonnambulo e poi sul treno, non aveva smesso un minuto di pensare a lei.

Chi poteva mai essere?

La risposta più plausibile, la prima che gli venne in men­te, era che doveva trattarsi della sorella di Mai oppure di una parente. Preoccupata per l'assenza della giovane, la donna era andata a verificare che cosa stesse succedendo. Lui stesso aveva raccontato brevemente alla madre di Mai in quali condizioni aveva trovato l'appartamento. E, se Mai aveva una sorella che viveva a Tokyo, allora era del tutto normale che fosse andata a controllare.

L'energia a dir poco sconcertante che emanava quella donna, però, lo portava a scartare a priori una risposta tan­to semplice. Mentre era sull'ascensore con lei, Mitsuo si era sentito scuotere da un brivido che partiva dritto dal cuore. Quella donna sembrava non appartenere a questo mondo, sembrava un fantasma! No, non era possibile, era un essere in carne e ossa. Però forse sarebbe meglio se fosse stato davvero un fantasma, rifletté Mitsuo. Sarebbe stato più semplice da capire e da accettare.

Tra le ombre dei palazzi circostanti, intravide un piccolo fa­nale tondo che si dirigeva verso di lui.

«Ehi, Mitsuo!»

Scrutando nell'oscurità, Mitsuo distinse finalmente la silhouette di Miyashita, che pedalava a tutta velocità sulla bicicletta della moglie, col cestino della spesa ancora appe­so davanti. Coi gomiti appoggiati al manubrio e con la testa che ciondolava da una parte all'altra, sembrava ormai allo stremo delle forze: era comprensibile, visto che Miyashita rimaneva quasi senza fiato dopo una camminata di pochi passi. Ora invece aveva appena fatto una corsa in bicicletta, spingendo con tutta la sua energia sui pedali.

«Ti sei sbrigato, eh?» esclamò Mitsuo, stupito dal fatto che l'amico fosse arrivato in anticipo. Si era già rassegnato ad attenderlo per dieci minuti almeno, perché sapeva che Miyashita non arrivava mai puntuale a un appuntamento. Lasciata la bicicletta sul marciapiede di fronte alla stazione, l'amico lo salutò con una pacca sulla spalla e lo condusse verso un vicolo, con alcune lanterne rosse appese ai balconi delle case. Cominciò a riprendere fiato e, mentre cammina­vano, disse: «Mutazione... Credo di aver capito cosa signi­fica».

Ecco perché era arrivato in anticipo: non vedeva l'ora di condividere con Mitsuo la sua scoperta.

«Allora? Di che si tratta?»

«Andiamo a berci una birra, così ti spiego.»

Passarono sotto il tendone di un bar, su cui era indicato il nome del locale: Alla lingua di bue. Senza chiedere il pa­rere di Mitsuo, Miyashita si affrettò a ordinare due birre al­la spina e due lingue di bue al sale. Sembrava conoscere be­ne il posto. Infatti fece un cenno di saluto al proprietario e si diresse a un angolo in fondo al bancone, il più tranquillo della sala.

Per prima cosa, Miyashita gli chiese quale procedura aveva seguito per decifrare il messaggio. Mitsuo estrasse di tasca il foglio delle analisi, e prese a spiegare il suo me­todo, mentre l'amico annuiva.

«'Mutazione.' Già, a quanto pare, è proprio questo il si­gnificato. Ma, col metodo che hai utilizzato, potrebbero es­serci una cinquantina di risposte plausibili, giusto?» com­mentò infine, parlando rapidamente come al solito, ma di­mostrando anche la propria approvazione all'amico con un buffetto sulla spalla. «A proposito, dimmi un po', c'è una certa somiglianza, l'hai notato?»

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