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Si erano dati appuntamento su una panchina, davanti alla biblioteca. Terminata la riunione con gli altri professori del­la facoltà, Mitsuo diede un'occhiata all'orologio, poi s'in­camminò verso il luogo dell'incontro.

Mai Takano gli aveva telefonato la sera prima all'Istituto di medicina legale. Non appena Mitsuo aveva riconosciuto la voce, il volto della donna gli era apparso davanti agli oc­chi. Capitava, ogni tanto, che i parenti di un defunto lo con­tattassero dopo l'autopsia, ma il più delle volte volevano avere da lui informazioni sulla causa della morte. Mai Ta­kano l'aveva chiamato per tutt'altra ragione: aveva accen­nato a un fatto insolito che l'angosciava da qualche giorno, cioè da quando, la sera stessa dell'autopsia, andandosene dalla veglia funebre, era passata a casa di Ryuji Takayama, per recuperare il documento su cui il professore stava lavo­rando. Poteva avere un legame con la causa della sua mor­te, aveva aggiunto, esitante.

Per Mitsuo, quella telefonata era servita unicamente a fargli ricordare la bellezza discreta di Mai Takano. Il giorno dopo avrebbe dovuto recarsi all'università per una riunio­ne, così le aveva proposto di vedersi, in modo che lei potes­se spiegargli di cosa si trattava.

Lui aveva fissato l'orario, però era stata Mai a stabilire il luogo dell'incontro: davanti alla biblioteca, sulla panchina sotto il ciliegio.

Anche Mitsuo aveva studiato per due anni presso quel­l'università, ma non gli era mai capitato di darsi appunta­mento in quel punto, davanti alla biblioteca, sulla panchina sotto il ciliegio. Con la moglie, che a quei tempi era studentessa di Lettere, s'incontrava di solito sotto il ginkgo, nel cortile dell'ateneo.

C'era una donna seduta sulla panchina. In lontananza, a Mitsuo sembrò di riconoscere Mai Takano. Indossava un vestito di colore chiaro, che la faceva sembrare più giovane rispetto al loro primo incontro di dieci giorni prima, all'Isti­tuto di medicina legale. Mitsuo proseguì oltre la panchina, per essere certo che fosse lei, ma la donna stava leggendo e non alzò subito la testa dal libro. Lo fece dopo qualche istante, avvertendo la presenza di qualcuno che le girava intorno.

Mitsuo le rivolse la parola per primo: «Signorina Taka­no...»

«Professor Ando, grazie per l'altro giorno.»

Mentre parlava, si sistemò meglio. Era evidente che non riusciva a pensare a un modo diverso per salutare il medico che aveva sezionato il suo amante.

Mitsuo si strinse il porta-documenti tra le dita, lunghe e affusolate, che non lasciavano dubbi sulla sua abilità pro­fessionale. «Posso sedermi?» Senza attendere una risposta, prese posto sulla panchina, accanto alla giovane, accavallò le gambe e si girò verso di lei.

«Ha già ricevuto i risultati delle analisi?» chiese Mai, in tono asciutto.

Mitsuo guardò l'orologio. «Senta, se ha tempo, potrem­mo parlarne davanti a un caffè.»

Mai si alzò senza dire nulla, tirando il lembo della gonna per sistemarla.

Entrarono nel bar che Mai aveva indicato. Per essere un luogo frequentato dagli studenti non era particolarmente rumoroso; anzi vi regnava un'atmosfera ovattata, che ricor­dava quella di una hall d'albergo. Si sedettero accanto a una finestra che dava sulla strada e subito la cameriera por­tò loro un bicchiere d'acqua e una salvietta calda.

Senza esitare, Mai ordinò: «Un semifreddo alla frutta».

«E un caffè per me», aggiunse Mitsuo, stupito per la ra­pidità di scelta della sua compagna. Dieci giorni prima, quella donna gli era sembrata un tipo piuttosto indeciso. Forse doveva ricredersi.

«Lo adoro», disse lei, scuotendo leggermente le spalle, una volta che la cameriera si fu allontanata.

Per un attimo, Mitsuo pensò si riferisse a lui, poi capì che stava parlando del semifreddo alla frutta che preparavano in quel locale e mentalmente si rimproverò per quelle ridi­cole fantasie. Sognare ancora a occhi aperti, alla mia età!

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