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Una volta salito in carrozza, Mitsuo riuscì a calmarsi e, non avendo di meglio da fare, si mise a guardare il paesaggio che scorreva dietro i finestrini. Di solito, quando viaggiava in treno, portava sempre con sé un libro, ma quella mattina, essendo uscito in auto con Miyashita, non aveva pensato a prendere qualcosa da leggere. Decise di non lottare oltre contro il sonno che l'aveva colto a forza di fissare il pano­rama monotono della periferia e chiuse gli occhi.

Quando si svegliò, faticò a capire dov'era. Angosciato al­l'idea di essere stato trasportato in qualche posto scono­sciuto mentre dormiva, sentì accelerare i battiti del cuore. Avrebbe voluto distendere le gambe, ma picchiò contro il sedile di fronte e sussultò. Poi avvertì i sobbalzi tipici del treno e sentì il rumore di un passaggio a livello, cui si sta­vano avvicinando.

Era su un treno, dunque?

Sollevato, ricordò di aver salutato Miyashita due ore pri­ma e di aver preso il treno, che l'avrebbe portato diretta­mente a casa. Gli sembrava fossero passati giorni dalla spe­dizione a Hakone Sud in compagnia dell'amico. Anche quel luogo gli appariva ormai lontano; poteva distinguere chiaramente solo i cottage in cima al pendio, e il volto del dottor Nagao.

Si stropicciò gli occhi poi guardò dal finestrino. Il pae­saggio notturno scorreva senza fretta. Il capolinea - la fer­mata di Shinjuku - doveva essere vicino, perché il treno aveva rallentato. Risuonò il segnale del passaggio a livello, una luce rossa prese a lampeggiare. Mitsuo si sporse in avanti, per cercare di distinguere il nome della fermata che stavano superando.

Yoyogi Hachiman.

La fermata vicina a casa sua, Sanmiyabashi, era quella successiva, ma il treno che aveva preso era diretto a Shinjuku e non fermava lì. Quindi doveva arrivare fino al capoli­nea e poi prendere un convoglio in senso inverso, per tor­nare indietro.

A Yoyogi Hachiman, la ferrovia voltava quasi ad angolo retto e il treno proseguiva costeggiando il parco Yoyogi, di cui s'intravedeva la scura vegetazione. Mitsuo era abituato a quel paesaggio. Dal suo posto, non avrebbe potuto veder­lo, ma sapeva che a destra, ben presto, sarebbero passati davanti al suo palazzo. Giunti alla fermata dov'era solito prendere il treno, Mitsuo incollò la guancia al finestrino, per dare un'occhiata alla banchina.

Fece un balzo indietro, poi avvicinò di nuovo la fronte al vetro per vedere meglio: gli sembrava di aver riconosciuto una donna in attesa sulla banchina. Nonostante la fredda serata invernale, non indossava che un semplice vestito. Ferma, con aria impassibile, guardava il treno avvicinarsi. Il convoglio aveva rallentato, ma, dall'interno, Mitsuo riu­scì a lanciare solo uno sguardo veloce alle persone in attesa, che sparirono subito alla vista. Gli occhi di Mitsuo, però, in­crociarono per un secondo quelli della giovane. Non era un'illusione. Era certo di aver avvertito il leggero fremito che si provava quando due sguardi s'incontravano.

Era la terza volta che vedeva quella donna. La prima vol­ta, l'aveva incontrata sull'ascensore della casa di Mai Takano; la seconda, su un altro ascensore, quello del palazzo in cui era stato ritrovato il corpo di Mai. Mitsuo aveva visto quella donna soltanto in due occasioni, per pochi minuti. Eppure il suo volto gli era rimasto impresso nella memoria.

Dieci minuti più tardi, Mitsuo scese alla fermata di San­miyabashi, dopo aver preso la coincidenza per tornare indietro. C'erano due treni fermi sui binari, uno per ogni ban­china, e impedivano di vedere oltre. Mitsuo restò fermo tra la folla che si dirigeva all'uscita, in attesa che i convogli si rimettessero in moto. Voleva accertarsi della presenza di quella donna sulla piattaforma di fronte. Erano passati più di dieci minuti da quando l'aveva scorta per un istante dal finestrino del treno, eppure era convinto che fosse anco­ra là. Senz'altro, il desiderio di rivederla condizionava quel pensiero.

Si sentì il segnale di partenza e i due treni si allontanaro­no in direzione opposta. La banchina di fronte divenne d'un tratto visibile, come se fosse stata spalancata una por­ta. Nella scia del rumore dei treni, lo sguardo di Mitsuo in­crociò di nuovo quello della donna. La sua intuizione si era rivelata corretta: lei era ancora là, lo sguardo perso sul mar­ciapiede. Quando si guardarono, Mitsuo chinò il capo, co­me per farle intendere che sapeva che lei lo stava aspettan­do. S'incamminò lentamente verso le scale e la sconosciuta, come se seguisse i suoi movimenti, cominciò nello stesso momento a scendere i gradini della banchina di fronte. Si ritrovarono proprio davanti all'uscita.

«E così, c'incontriamo di nuovo», disse la donna, come se si trattasse di una coincidenza.

Tuttavia Mitsuo non poteva credere che si trattasse di un caso. Era convinto che lei, in attesa alla fermata, sapesse che lui si trovava sul treno espresso proveniente da Odawara. Ed era certo che lo aveva aspettato alla stazione di Sanmiyabashi. Eppure il fascino di quella donna cancellava ogni forma di resistenza. Uscirono insieme dalla stazione e s'incamminarono nelle strade piene di negozi della zona.

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