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L'appartamento di Mai si trovava a una sola fermata di me­tropolitana dall'università. Uscito dalla stazione, Mitsuo estrasse l'agenda e una mappa del quartiere e si mise alla ricerca dell'indirizzo.

Sulla strada, incrociò una bimbetta, vestita con un kimono arancione, che stava andando al tempio coi genitori. Di­mostrava al massimo sette anni e aveva un viso carino, dai lineamenti regolari. Sotto il sole pomeridiano, il tessuto del suo kimono, indossato in occasione della festa dei bambini, splendeva, sgargiante.

Teneva stretta la mano della madre e procedeva a saltel­li, negli zoccoli in legno tradizionali, che evidentemente non era abituata a calzare. Mitsuo non poté evitare di girar­si per seguire con lo sguardo quella graziosa creatura, ac­compagnata dai genitori vestiti a festa. Tra una quindicina d'anni, pensò, sarà bella come Mai Takano...

Al numero civico annotato sull'agenda corrispondeva un palazzo di sei piani, affacciato su una via piena di negozi. Già dall'esterno, Mitsuo si fece un'idea del tipo di apparta­mento in cui viveva Mai. Gli affitti erano sicuramente bassi, ma l'immobile era suddiviso in tanti piccoli monolocali, do­ve gli inquilini quasi si ammassavano l'uno sopra l'altro.

Suonò il citofono della portineria. Un uomo di mezza età si sporse dalla guardiola. Mitsuo si presentò e gli spiegò il motivo della sua visita.

«Ah, sì, sì, la madre della signorina Takano mi aveva av­visato», esclamò l'uomo, uscendo dal suo stanzino con un grosso mazzo di chiavi appeso alla cintura.

«Mi dispiace causarle tanto disturbo.»

«Non si preoccupi... Anzi bisognerebbe ringraziare lei per essersi preso la briga di venire a controllare. È terribile quello che è successo alla signorina Takano, non è vero?»

Mitsuo si chiese cosa potesse avergli raccontato la madre di Mai. Mentre si accingeva a seguirlo, mormorò un debole: «Sì».

Davanti all'ascensore, allineate su quattro file, c'erano le caselle della posta. Una di esse, in un angolo in alto, era piena di giornali, fino all'orlo. Certo che si trattasse della casella di Mai, Mitsuo si avvicinò. In effetti, sopra c'era un'etichetta che indicava TAKANO.

«Sì, è proprio la casella della signorina Takano. È la pri­ma volta che non ritira la sua posta, sa?»

Mitsuo estrasse i giornali e controllò la data di ciascuno di essi: il più vecchio era dell'8 novembre. Quindi erano al­meno sette giorni che Mai non passava a ritirare la posta. Non era credibile che avesse dormito fuori per tutto quel tempo. Doveva essere in casa... ma in uno stato che non le permetteva nemmeno di scendere a controllare la posta. Tutti gli elementi facevano propendere per quella conclu­sione.

«Andiamo?» lo sollecitò il custode.

Sembrava quasi che avesse intuito il timore di Mitsuo per ciò che stava per fare.

«Andiamo», disse lui e, cercando di farsi coraggio, entrò nell'ascensore.

L'appartamento di Mai era il numero 303, al terzo piano. Il custode estrasse dal mazzo una delle chiavi e la infilò nel­la serratura.

Inconsciamente, Mitsuo si allontanò dalla porta. Avrei dovuto portarmi i guanti in lattice, pensò.

Si pentì per quella dimenticanza. Di certo, il virus che aveva causato la morte di Ryuji non si trasmetteva per via aerea. Mitsuo pensava che si trattasse piuttosto di una forma simile a quella dell'AIDS. Ma non ne conoscevano ancora le origini, dunque era meglio essere prudenti. Non che tenesse particolarmente alla sua vita, ma voleva almeno risolvere quel caso prima di morire.

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