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Lo svenimento di Mitsuo durò meno di un minuto, ma fu sufficiente. Bloccare temporaneamente il flusso della co­scienza era l'unico modo per reagire a una realtà tanto ter­rificante. Se avesse avuto un po' più di tempo per afferrare la verità, forse sarebbe riuscito a reggere lo shock. Ma tutto si era verificato troppo in fretta.

Una donna, morta venticinque anni prima, era lì, in pie­di davanti a lui. Come se non bastasse, le immagini dei mo­menti d'intimità trascorsi con lei la notte prima erano anco­ra vivide nella sua mente. Per evitare che la follia prendesse il sopravvento, Mitsuo non aveva che una strada: arrestare per un istante il corso dei pensieri. La maggior parte della gente avrebbe reagito in quel modo. Era il solo modo a di­sposizione degli esseri umani per sfuggire a un orrore inso­stenibile. Perdendo i sensi, non si era costretti a fare sforzi ulteriori per sopportare l'insopportabile.

Una volta ripresa coscienza, Mitsuo ebbe l'impressione di sentire un odore di pelle bruciata che gli penetrava nelle narici. Era caduto sul letto supino, ma, risvegliandosi, si ri­trovò sul dorso. Si era girato da solo oppure qualcuno l'a­veva messo in quella posizione? Il busto era disteso sul let­to, ma le gambe sporgevano oltre l'estremità e i piedi erano ben saldi a terra. Senza muoversi, Mitsuo annusò l'aria e te­se le orecchie. Si guardava intorno, seppure con gli occhi chiusi. Non se la sentiva di riprendere tutte le funzioni sen­soriali nello stesso tempo. Doveva abituarsi gradualmente alla realtà, altrimenti c'era il rischio che svenisse di nuovo.

Sentì l'acqua colare da un rubinetto aperto. Quel rumore proveniva dal bagno? Sembrava quasi il lontano scroscio di un ruscello. L'acqua che scorreva copriva il brusio della cit­tà notturna. Di solito, il frastuono delle macchine sull'auto­strada appariva più vicino. Mitsuo socchiuse gli occhi e si rese conto che i due neon sul soffitto erano accesi. La stanza brillava, illuminata.

Senza muovere la testa, cercò di percepire cosa poteva esserci nel suo campo visivo, poi, molto lentamente, sollevò il busto. Non c'era nessuno. Di colpo, come per incanto, il rumore dell'acqua cessò. Senza rendersene conto, Mitsuo trattenne il fiato.

La donna apparve all'angolo del corridoio. Come poco prima, indossava solo gli slip e teneva la salvietta in mano.

Mitsuo avrebbe voluto urlare, ma non riuscì a emettere nessun suono. Respinse la mano che tendeva l'asciugama­no umido verso il suo viso, si alzò, titubante, e si addossò al muro. Voleva gridare il nome di quella donna, ma un nodo in gola gli impediva ancora di parlare.

Sadako Yamamura...

Ripassò mentalmente tutto ciò che sapeva di lei. Venti­cinque anni prima, era stata assassinata e gettata in un poz­zo. Era lei che aveva generato la cassetta letale, con la sola forza del pensiero. Era dotata di poteri soprannaturali straordinari, ed era ermafrodita... Il suo sguardo si spostò verso il basso ventre della donna. Non c'erano rigonfiamen­ti visibili tra le sue cosce, sotto le mutandine. Era vero, po­teva anche avere testicoli non evidenti, ma lui l'aveva acca­rezzata più volte tra le gambe e non aveva avvertito nessu­na escrescenza particolare, niente che potesse sembrare anomalo. La sua femminilità appariva del tutto integra e ar­moniosa. Tuttavia non poteva sostenere di avere visto o non visto qualcosa. Tutto si era svolto nella più totale oscurità. Era quello il motivo per cui lei aveva voluto il buio comple­to, pensò Mitsuo.

Non si era sbagliato quando aveva avvertito un'atmosfe­ra inquietante intorno a quella donna, il giorno del loro pri­mo incontro. In quell'occasione, si era trovato chiuso dentro l'ascensore di Mai, in compagnia della sconosciuta e aveva reagito esattamente come in quel momento: era indietreg­giato, addossandosi alla parete, per cercare di stare lontano, anche soltanto di un centimetro, da quella creatura malefi­ca. La donna era spuntata all'improvviso dall'appartamen­to di Mai. Da dove veniva, quindi?

Mitsuo avrebbe voluto farle molte domande. Ma comin­ciava appena a riprendere fiato e a respirare normalmente; non era ancora in grado di parlare. Sentiva che, se non avesse mantenuto i nervi saldi, sarebbe crollato. E, se si fos­se distratto anche per un istante, sarebbe caduto nella trap­pola di quella donna. Raccolse tutte le sue energie per man­tenersi lucido e sollevò lo sguardo, per non mostrarsi inti­morito.

La fissò.

Sotto le luci al neon, la pelle di Sadako appariva più bian­ca che mai. Quella pelle liscia e vellutata dava l'impressione di un essere reale, come se lei, con tutta se stessa, volesse af­fermare che non era un fantasma. Il corpo vivo, che lui ave­va abbracciato la notte precedente, le mani, le gambe, che si erano attorcigliate con le sue, tutto sembrava pronto ad an­nientarlo. Doveva fare qualcosa per sfuggire al suo sortile­gio. Ma cosa? C'era una sola risposta possibile: fuggire. Pri­ma di tutto, andarsene dall'appartamento. Mitsuo non riu­sciva a pensare a nient'altro. Aveva davanti un fantasma. Una donna tornata in vita dopo venticinque anni...

Sempre con la schiena attaccata al muro, Mitsuo si dires­se verso l'ingresso, camminando di lato. Sadako lo seguiva con gli occhi, senza fare nulla per fermarlo; si limitava a ri­cambiare il suo sguardo. Mitsuo lanciò un'occhiata alla por­ta d'ingresso. L'aveva chiusa a chiave, rientrando? Non lo ricordava. Ma no, l'aveva lasciata aperta. Bastava girare la maniglia per uscire. Continuò a muoversi lentamente, sen­za distrarsi. Non aveva tempo di prendere il cappotto.

Quando fu a due metri dalla donna, spiccò un balzo ver­so la porta e si precipitò fuori. Indossava soltanto un maglioncino e un paio di pantaloni, una tenuta del tutto inade­guata per affrontare il freddo, eppure scese i gradini a due a due. Attraversò di corsa l'atrio del palazzo, senza voltarsi indietro, sinché non fu in strada. In apparenza, lei non l'a­veva seguito. Alzò lo sguardo verso la finestra del suo ap­partamento e vide che l'interno era illuminato. Aveva vo­glia di andare in un posto pieno di gente. Si mise a correre verso la stazione.

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