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Da qualche minuto, Yoshino continuava ad allungare la mano verso il suo bicchiere d'acqua. Fingeva solo di bere: in realtà, ogni volta lanciava un'occhiata all'orologio. Ave­va forse un altro appuntamento, subito dopo? Di qualun­que cosa si trattasse, era preoccupato per l'orario.

«Mi scusi un secondo, la prego.»

Così dicendo, Yoshino fece un leggero cenno del capo, si alzò e attraversò a passo svelto la terrazza del bar dove si trovava il tavolo al quale si erano seduti. Poi si diresse a un telefono accanto alla cassa. Mentre osservava il giorna­lista che apriva l'agenda e componeva un numero, Mitsuo si appoggiò contro lo schienale della sedia, come per la­sciarsi andare a un sospiro di sollievo.

Era più di un'ora che Yoshino era arrivato al laboratorio. Poi i due avevano deciso di andare in uno dei bar vicini alla stazione. Il suo biglietto da visita era ancora sul tavolo, da­vanti a lui.

KENZO YOSHINO, DAILY NEWS, REDAZIONE DI YOKOSUKA.

Quell'uomo gli aveva raccontato una storia così inverosi­mile che Mitsuo faceva ancora fatica a raccapezzarsi. Prati­camente aveva parlato solo lui e, alzandosi per andare a te­lefonare, aveva lasciato Mitsuo con mille punti interrogativi che gli affollavano la mente.

Secondo Yoshino, tutto era cominciato la sera del 29 ago­sto, in un cottage preso in affitto al Pacific Land Club di Hakone Sud, un complesso turistico situato nelle vicinanze dell'isola di Izu Oshima. Quattro ragazzi che occupavano il cottage B-4 avevano noleggiato per caso una videocasset­ta, registrata da una donna tramite i suoi poteri extrasensoriali. I giovani avevano fatto una fine tragica: erano morti appena una settimana dopo aver guardato quella cassetta. Mitsuo non poteva che essere fortemente scettico. Yoshino non aveva battuto ciglio parlando di «spiritismo», ma come poteva credere che si potessero registrare immagini su una videocassetta con la sola forza della mente? Non era possibile... Eppure lui stesso, Mitsuo, era stato testimo­ne di episodi che potevano sembrare stravaganti, visti dal­l'esterno: il pezzo di carta spuntato dal ventre di Ryuji, do­po l'autopsia, la strana sensazione di una presenza in un appartamento deserto... Certo, non faceva lo stesso effetto vivere un'esperienza in prima persona e sentirla raccontare. Inoltre Yoshino aveva un legame diretto con gli eventi e dunque ne parlava con convinzione. Ryuji Takayama e Kazuyuki Asakawa avevano indagato su quella faccenda, aiu­tati proprio da Kenzo Yoshino. Quel particolare di certo rendeva più persuasivo il suo racconto. «Mi scusi per averla fatta attendere.» Sedutosi di nuovo, Yoshino annotò qualcosa sull'agenda, poi richiuse la penna dando un colpetto all'estremità contro la guancia irsuta. Quella folta barba, che gli copriva il viso dalla mascella fino al mento, aveva forse lo scopo di com­pensare il principio di calvizie? «In quale punto del discor­so ci eravamo interrotti?» proseguì, puntando il mento in avanti. Aveva un modo di esprimersi piuttosto elegante. «Mi stava parlando di Ryuji Takayama.» «Mi potrebbe dire quale rapporto aveva lei con Ryuji Ta­kayama?»

«Era un mio compagno di università.» «Ah, sì, proprio come mi avevano detto.» Quindi ha preso informazioni su di me, prima di fissare l'ap­puntamento, concluse Mitsuo. «A proposito, signor Yoshi­no, lei ha visto personalmente questa cassetta?» chiese, per levarsi quel dubbio che lo tormentava fin dall'inizio.

«Io? Certo che no!» esclamò l'altro, spalancando gli oc­chi, già grandi per natura. «Se l'avessi vista, con ogni probabilità in questo momento lei mi starebbe sezionando. No, no, non ho il coraggio di guardarla.»

Da un po' di tempo, ormai, Mitsuo aveva capito che una certa videocassetta era collegata a quella serie di decessi in­spiegabili. Ma da lì a credere che esistesse una cassetta in grado di provocare - una settimana più tardi - la morte di coloro che la guardavano c'era una bella differenza. Co­me poteva dar credito a una cosa del genere? Forse ci avrebbe creduto solo se lui stesso fosse morto una settimana dopo aver visto il video.

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