Epilogo

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Era una giornata così bella che si faticava a credere di esse­re nel pieno della stagione delle piogge. Mitsuo era andato al mare, sulla stessa spiaggia dove, due anni prima, era an­negato suo figlio. Non c'era stato l'anno precedente. Quella volta, tuttavia, aveva una buona ragione per recarsi in quel luogo, il giorno dell'anniversario della morte.

Rispetto a quel giorno, le onde s'infrangevano pigramen­te sul bagnasciuga. Sulla spiaggia di sabbia bianca, solo qualche pescatore gettava le reti. L'estate era appena co­minciata e nessuno si azzardava a fare il bagno. In tutto, c'erano solo due o tre famigliole, sedute in cerchio intorno ai loro picnic.

Mitsuo ebbe l'impressione di essere stato proiettato due anni indietro nel tempo. Il mare non era tanto agitato e al largo era stata costruita una barriera artificiale, che prima non c'era, e conferiva un aspetto diverso alla spiaggia. Ep­pure per lui non era cambiato nulla. Aveva l'impressione di aver vissuto un incubo durato due anni.

Seduto su un muretto di fronte al mare, Mitsuo lasciava che i caldi raggi di sole, un anticipo della bella stagione, gli scaldassero il viso. Con la mano a schermare gli occhi, non distoglieva lo sguardo da una figurina accovacciata a piedi nudi sulla riva, a ragionevole distanza dall'acqua, che giocava con la sabbia.

D'un tratto, gli sembrò che qualcuno lo stesse chiaman­do. Gli sembrava impossibile, ma alzò ugualmente la testa e si guardò intorno. Un uomo si stava dirigendo verso di lui. Portava una camicia a maniche lunghe, a righe, coi bot­toni allacciati fino al colletto. I pettorali e i bicipiti perfetta­mente formati sembravano voler lacerare il tessuto. Il collo tarchiato era segnato da alcune pieghe e l'uomo sembrava respirare a fatica. Aveva il viso madido di sudore e avanza­va ansimando, facendo dondolare avanti e indietro il sac­chetto di plastica del supermercato che teneva in mano.

Mitsuo lo conosceva. L'aveva visto per l'ultima volta nel­l'ottobre dell'anno precedente, all'Istituto di medicina legale.

L'uomo si sedette accanto a lui, spalla contro spalla.

«Ne è passato di tempo, eh...»

Senza nemmeno degnare di uno sguardo il nuovo venu­to, Mitsuo continuò a fissare l'esile figura che giocava in ri­va al mare.

«Non è stato carino da parte tua sparire così, senza nem­meno dire dove andavi», proseguì l'uomo, estraendo dal sacchetto una bottiglietta di tè oolong e bevendola d'un fia­to. Poi estrasse un'altra bottiglia dal sacchetto e la porse a Mitsuo. «Vuoi?»

Mitsuo la afferrò senza rispondere e la aprì, continuando a ignorarlo. «Come hai saputo che ero qui?» chiese poi, in tono calmo.

«Ho chiesto a Miyashita. Mi ha detto che era il giorno dell'anniversario della morte di tuo figlio, e non ho fatto fa­tica a immaginare dove fossi. Indovino sempre quello che pensi, lo sai», rispose l'altro, scoppiando a ridere.

«Perché volevi vedermi?» chiese ancora Mitsuo, sfor­zandosi di controllare la voce.

«Ho dovuto prendere il treno e la macchina per arrivare fin qui, potresti anche accogliermi più gentilmente.»

«Impossibile», replicò seccamente Mitsuo.

«Sei proprio senza cuore!» esclamò l'uomo, storcendo le labbra in una mezza risata.

«Senza cuore?» ripeté Mitsuo. «Chi devi ringraziare per essere qui, oggi?»

«Ti sono riconoscente. Ti sei comportato secondo le mie aspettative.»

Era evidente che voleva ricordare a Mitsuo di essere sta­to lui a manipolarlo. All'epoca in cui erano studenti, quan­do i crittogrammi rappresentavano il loro passatempo pre­ferito, Mitsuo provava una sorta di amarezza ogni volta che non era in grado di risolvere gli enigmi proposti dall'amico, mentre quello riusciva a decifrare senza problemi i messag­gi che lui si era sforzato d'inventare. Nel contempo, tutta­via, apprezzava la prontezza di spirito e le capacità dimo­strate da Ryuji. Ormai, invece, era diverso. Si sentiva umi­liato per essersi lasciato usare in quel modo e non provava la rninima ammirazione.

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