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Mitsuo procedeva al fianco di Nemoto nei corridoi scarsa­mente illuminati della facoltà di Medicina. Col camice aperto, appoggiato solo sulle spalle, si era messo le mani in tasca e stringeva il dischetto. Né Miyashita né Nemoto avevano fatto domande. Non era sua intenzione tenerli al­l'oscuro di quanto stava per esaminare. Se avessero chiesto qualcosa, avrebbe detto loro la verità. Se avessero saputo che quel documento poteva rivelarsi utile per risolvere l'e­nigma delle morti misteriose, l'avrebbero sicuramente tem­pestato di domande.

Era comunque possibile che non si trattasse del docu­mento che cercava. Non poteva sbilanciarsi finché il testo non fosse apparso sullo schermo, sotto i suoi occhi. Tutta­via avvertiva intensamente la presenza di quel dischetto tra le dita. Dentro la tasca e tramite il contatto della mano ave­va ormai preso la stessa temperatura del suo corpo. Per Mitsuo, quella era la prova che le parole erano lì e impresse sul dischetto.

Appena entrato nel laboratorio di biochimica, lo estrasse dalla tasca e lo guardò, tenendolo saldamente con la mano sinistra, mentre con la destra chiudeva la porta alle sue spalle.

«Uchida, vieni a vedere!» Nemoto fece un cenno con la mano a un ragazzo molto magro, seduto in un angolo della stanza.

«Cosa c'è?» Uchida girò sullo sgabello, voltandosi verso il compagno, ma non accennò ad alzarsi.

Nemoto gli si avvicinò, sorridendo. «Ti serve il compu­ter?»

«No. Non adesso, almeno.»

«Perfetto. Allora potresti essere così gentile da prestarlo al dottar Mitsuo?»

Uchida spostò lo sguardo su Mitsuo, poi chinò la testa, mormorando: «È un onore».

«Mi dispiace disturbarla, ma il mio computer non è compatibile con questo dischetto.» Mitsuo fece un passo in avanti e glielo mostrò.

«Prego, faccia pure», rispose il ragazzo, sollevando il computer portatile appoggiato ai suoi piedi per metterlo sulla scrivania.

«Posso usarlo qui?»

«Sì, certo.»

Uchida sollevò il laptop e lo accese. Dopo un istante, sul­lo schermo apparve il menu. Mitsuo scelse un programma di videoscrittura e inserì il dischetto. Creò una cartella e vi copiò dentro il contenuto. Mentre l'apparecchio svolgeva quell'operazione, Mitsuo notò soddisfatto che il documento non era protetto. Ben presto, i titoli dei file contenuti appar­vero sullo schermo:

Ring 9 199X.10.21

Ring 8 199X.10.20

Ring 7 199X.10.19

Ring 6 199X.10.17

Ring 5 199X.10.15

Ring 4 199X.10.12

Ring 3 199X.10.07

Ring 2 199X.10.04

Ring 1 199X.10.02

«Ring, ring, ring...» lesse ad alta voce, stupito. RING! Era la stessa parola risultata dal crittogramma sul pezzo di carta trovato nel ventre di Ryuji!

«Ti senti bene?» mormorò Nemoto, preoccupato dall'a­ria sconvolta del collega.

Mitsuo non poteva credere ai suoi occhi.

A quel punto non si trattava più di semplici coincidenze. Il reportage di Asakawa, che spiegava in dettaglio le inda­gini sulle morti misteriose, era composto da nove file, tutti salvati col nome Ring. La stessa parola estratta dal cadavere di Ryuji!

Come spiegarlo? Una cosa del genere era impossibile. Mitsuo non poteva accettarla. Come poteva ammettere che il cadavere di Ryuji, ormai rigido come il marmo e svuotato delle interiora, avesse espulso un messaggio dal ventre? Ecco perché, per fargli sapere che esisteva qualcosa dal titolo Ring!

Gli tornò in mente l'espressione del cadavere dell'amico, appena dopo l'autopsia. La pelle del viso, inspessita e come pietrificata, si era lasciata andare e a Mitsuo era sembrato di scorgere un sorriso sarcastico incurvare leggermente le labbra di Ryuji.

Cominciava a pensare che la storia raccontata da Yoshino, quella che all'inizio gli era sembrata assurda, avesse un fondo di verità. Poteva essere successo realmente, dopotut­to... Da qualche parte, nel mondo, c'era forse una videocas­setta che conduceva a morte certa nel giro di una settimana chiunque la guardasse...

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