Acque pericolose

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In quei brevi secondi che la separavano dallo strapiombo, Annie Cresta non vide nulla. Nessun flash, nessun ricordo, nessuna immagine che potesse riportarle davanti agli occhi la sua vita.
Per quanto folle sarebbe potuto sembrare, la ragazza sperava in qualcosa. Non voleva morire senza aver ripercorso a ritroso la propria vita.

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita in quel modo: Annie Cresta, tributo del Distretto 4, morta per una sciocca caduta nell'Arena dei 70esimi Hunger Games.

Il sasso di Finnick le bruciava a contatto con i pantaloni. Avrebbe tanto voluto prenderlo per ammirarlo ancora un'ultima volta, ma sapeva che non avrebbe avuto tempo. L'aria le fischiava nelle orecchie e, per la prima volta nella sua vita, Annie si trovò a pregare.

Fu quasi buffo come la preghiera le si formulò nella mente, nitida come se l'avesse ripetuta centinaia di volte. In realtà, Annie non aveva mai pregato. Nonostante i suoi genitori l'avessero spinta a farlo molte volte, fin da piccola non ne aveva trovato un senso. Come avrebbe potuto credere a un Dio che permetteva tutto ciò?

Ti prego, a qualsiasi costo, salvali.

La caduta durò meno di quanto si fosse aspettata: dopo qualche secondo, la sua schiena sbatté contro il suolo roccioso.

L'impatto le mozzò il fiato in gola e mille punture brucianti le stilettarono ogni centimetro di pelle. Le parve che la testa si spezzasse in due, a contatto con la pietra e sentì un caldo liquido denso espandersi sotto di sé ed impregnarle i capelli.

Sangue.

L'odore le invase le narici e i conati di vomito le sconquassarono lo stomaco. Reprimendo un gemito di dolore, fece leva sul gomito sinistro, sollevò parzialmente il busto e si lasciò cadere su un fianco, senza fiato.

Immobile, con lo sguardo rivolto al cielo, cominciò a ragionare sulle condizioni del proprio corpo. Sapeva che il braccio sinistro non aveva subito grossi danni, poiché lo aveva usato per fare leva, ma comunque mosse le dita e, quando fu sicura che tutte e cinque rispondevano ai suoi comandi, passò al braccio destro.

Si accorse subito che ci fosse qualcosa di sbagliato: anche tenendolo fermo, lo percepiva bollente ed formicolato. 

Ciò che più la preoccupava erano le gambe. La frattura di una delle due avrebbe rappresentato morte sicura per un Tributo; nell'Arena era essenziale la velocità e l'agilità.

Con un sospiro di sollievo, appurò che nessuna delle due aveva subìto danni gravi. Probabilmente, l'unico ricordo che le sarebbe rimasto, sarebbero state le costellazioni di lividi sulla pelle pallida.
Devo alzarmi, si disse, sbattendo le palpebre più e più volte.

Il primo tentativo per mettersi seduta fu fallimentare: non poté sopportare i giramenti di testa e le macchie scure davanti agli occhi.

Dopo qualche prova, però, riuscì a mettersi seduta.
Si concesse qualche respiro profondo, nel tentativo di scacciare definitivamente la nebbia che le invadeva la mente.

Sollevò lo sguardo e trattenne un gemito sofferente: non sarebbe mai stata in grado di arrampicarsi nuovamente fino alla cima, non in quelle condizioni.

Non è il momento di arrendersi, commentò una voce nella testa della ragazza.

Aveva ragione. Negli Hunger Games non si aveva il lusso della comodità: i tributi erano costantemente messi alla prova, nel tentativo di salvarsi la vita. Anche se le pareva impossibile, avrebbe dovuto scalare la parete rocciosa e conquistare la vetta, perché Euer ed Evan la stavano aspettando. 

I giochi di Annie CrestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora