Typhlos

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Inizialmente Annie pensò si trattasse di un qualche stupido scherzo ideato dai suoi Preparatori per stuzzicarla o farla innervosire maggiormente.
Eppure la sua Stilista sembrava realmente cieca.

La teneva ancora per mano e fu lì che l'occhio verde della ragazza cadde. In effetti non aveva prestato attenzione alla particolare posizione delle dita della donna: erano strette intorno al suo polso sottile.

Aveva sentito dire che i ciechi, per meglio interpretare le emozioni altrui, percepivano le pulsazioni sul polso delle persone. Nonostante la sua parte razionale le urlasse che non era fisicamente possibile che avesse una stilista cieca, non poteva ignorare i piccoli indizi che la donna le stava offrendo.

Annie si scoprì lievemente a disagio; come pensavano che avrebbe potuto aiutarla? Sarebbe stata capace di confezionarsi un abito da sola.. sicuramente senza l'aiuto della stilista!

Aveva bisogno di fare bella figura alla sfilata ed era evidente che con lei non ci sarebbe mai riuscita. Possibile che tutto le si stesse sgretolando davanti agli occhi come nel peggiore dei suoi incubi?

"Immagino che tu abbia già fatto due più due" commentò la Stilista, sempre senza abbandonare quel suo sorriso gentile.

"Probabile" rispose Annie, titubante. Non voleva risultare scortese.

"Ti starai chiedendo come mai ti abbiano assegnato una Stilista cieca. Non saresti la prima a domandarselo. È perfettamente normale.. sai, lo farei anche io al posto tuo" continuò, scostandosi i capelli dal collo. "Hai voglia di sentire la mia storia, o sei in fibrillazione per la Sfilata?" le chiese.

La ragazza rifletté un attimo. Era ovvio che fosse agitata per la sera, ma scoprì che le sarebbe davvero piaciuto ascoltare una storia.. magari sarebbe riuscita a distoglierle i pensieri dagli Hunger Games e.. da Finnick.

"Mi piacciono le storie" commentò, mettendosi più comoda e chiudendo gli occhi.

"Mi chiamo Typhlos, ma tutti hanno incominciato ad abbreviarlo in Ty in un tempo che non ricordo neppure più. Non sono nata cieca; vivevo con la mia famiglia a Capitol City, in un quartiere alla periferia, dove ancora non c'erano grattacieli, palazzi enormi, fabbriche e strade infinite. La mia casa era ai margini di un prato immenso, probabilmente ora si sarà trasformato in un centro commerciale, in una zona palaziale, o non so.
Ricordo che mi piaceva camminare nell'erba e contarne i fiori, ognuno di colore differente.
Avevo meno della tua età, quando capii di amare il mondo della moda: passavo giornate intere a tagliare, cucire e colorare stoffe per le mie bambole. Ne avevo più di cento e ogni giorno tutte quante cambiavano vestito, per partecipare a passerelle immaginarie nella mia mente.
Un giorno, a sorpresa, fui assunta da un'agenzia di alta moda, venuta a conoscenza del mio talento attraverso i racconti delle persone a me vicine.
Puoi immaginare come mi sentissi: ero al settimo cielo.. di certo non avrei mai potuto immaginare qualcosa di meglio! Stavo finalmente per realizzare il mio sogno nel cassetto e la cosa mi rendeva raggiante.
Nonostante ne rimasi colpita, non fu uno shock quando, appena due mesi dopo dalla mia assunzione, iniziarono a propormi sfilate o ricevimenti; "Avevo un talento fuori dal comune" mi dicevano. Ogni persona di alto rango chiedeva di me e dei miei vestiti. Non erano come quelli di Capitol City.. come si vedono ora" fece una pausa, con un sorrisetto. "Come li vedi tu" si corresse.
"A me piacevano per la loro semplicità, per il loro tocco di purezza che sempre mi avevano trasmesso i fiori.
Fu un periodo stupendo per me, ma l'entusiasmo durò poco. Appena un anno dopo la mia assunzione, mi ritrovai a constatare che c'era qualcosa che non andava in me: mi faceva male la testa più del normale; gli occhi mi si facevano pesanti dopo appena tre ore di lavoro e un senso di spossatezza mi attanagliava come una morsa.
All'inizio pensai fosse dovuto al troppo lavoro e non me ne preoccupai. Anzi! In quel tempo mi venivano fatte sempre più richieste e mi tuffavo continuamente nei miei progetti con passione, senza curarmi del mio malessere.
Sventuratamente, avrei dovuto: nemmeno un mese dopo, il mio occhi sinistro iniziò a non funzionare bene.
Mi svegliai una mattina, aprì gli occhi e.. il mio campo visivo a sinistra era scomparso, sostituito da una patina scura. Battei le palpebre più volte, col cuore in gola e dopo poco la vista tornò, sfocata, lieve, flebile.
Mi spaventai e ovviamente corsi da un dottore, da qualcuno che avrebbe potuto dirmi cosa stava succedendo. La prognosi fu spaventosa: stavo diventando cieca.
Ero completamente terrorizzata dall'idea. Passai da chirurgo a chirurgo, ma ogni volta, seduta sul lettino, mi veniva ripetuto il verdetto finale: male incurabile, vista in diminuzione, cecità.
La mia vista sarebbe scomparsa lentamente, finché non mi sarei trovata a contemplare il nulla.
Non ero pronta per un simile cambiamento.. chi lo sarebbe stato, dopotutto? Non solo avrei perso il lavoro, ma anche la mia vita di tutti i giorni.
Passai un mese chiusa in casa, a piangere e a disperarmi. La vista, i colori, i vestiti, erano il mio mondo. Non riuscivo ad immaginarmi senzadi essi.
Intanto, nella mia cassetta postale le richieste aumentavano, ma non ci badavo più, ormai.
A cosa sarebbe servito continuare, se avessi dovuto smettere una volta per tutte?
Un giorno, però, mi capii che la mia vita non era finita. Avrei continuato a vivere per molto tempo, dopo la mia completa perdita della vista. La vita sarebbe andata avanti e non potevo permetterle di abbandonarmi indietro. Avevo bisogno di ricominciare ad esistere.
Iniziai a studiare attentamente tutte le stoffe, ad occhi chiusi, preparandomi all'inevitabile.
Imparai a distinguere il velluto dalla seta, la lana dal cotone, i fili spessi da quelli minuti. Mi esercitai, insieme a delle mie amiche, a cucire senza l'aiuto della vista, a tagliare dritto.
Elaborai dei sistemi di lavoro rigidi, difficili, ma che mi avrebbero aiutato nel momento in cui la mia vista si sarebbe completamente spenta.
Alla fine di quel periodo, ero in grado di confezionare un vestito magnifico, senza l'aiuto dei miei occhi.
Certo, avevo sempre bisogno di qualcuno che mi aiutasse, ma potevo considerarmi quasi completamente autosufficiente.
E poi arrivò il fatidico giorno in cui mi svegliai e aprii gli occhi, trovando solamente il buio. Ma avevo fatto l'abitudine al nero, ormai era diventato un mio compagno di esistenza. Lo accolsi quasi con amore, perché sapevo che sarebbe stato l'unico che sarebbe rimasto per sempre.
La notizia della mia sciagura corse ben presto di bocca in bocca, ma ancora più veloce, quella della mia nuova e innata abilità nel creare vestiti senza l'aiuto della vista.
Rimasi famosa, molto. I miei vestiti andavano a ruba.
Non mi serviva guardare per elaborare un vestito. Mi si creavano in testa. Là io avevo i miei occhi, quelli interiori.
Descrivevo il vestito alle mie colleghe e loro tracciavano lo schizzo. Mi facevano sapere i loro pareri se qualcosa si sarebbe dovuto perfezionare e poi io iniziavo il lavoro.
L'anno scorso, il presidente Snow, mi ha offerto il posto di nuova Stilista e ho accettato" concluse.

I giochi di Annie CrestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora