30 (fragile)

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GIORGIO

Le braccia di Arianna continuavano cingermi le spalle, mentre un senso di urgenza e di bisogno di solitudine mi portavano a distaccarmi da lei. Soffriva per me, ne ero certo, ma non riuscivo a sopportare il malcelato senso di compassione che intravedevo dietro il suo sguardo limpido e fin troppo puro. I miei occhi abituati all'oscurità, sapevano vedere fin troppo bene alla luce del sole, i miei occhi conoscevano la tristezza più dei suoi, anima candida, i miei occhi conoscevano la disperazione, mentre si dilatavano nel cuore della notte in cerca di speranza.

Arianna non sapeva, Arianna non capiva; non poteva farlo.

Nessuno era con me, mentre il corpo di mia madre diventava sempre più rigido e freddo; nessuno aveva asciugato il mio pianto disperato, nessuno aveva protetto il mio sguardo di bambino dallo scempio del suo corpo. Ero piccolo, troppo piccolo per poter fare qualcosa, per proteggerla. Ero piccolo e l'avevo vista morire.

Sdraiato sul letto, le braccia dietro la testa, nella mia stanza, dove mi ero nuovamente rifugiato;  guardai fuori dalla finestra. Il tramonto cedeva il passo al crepuscolo, illuminando le cime degli alberi con gli ultimi raggi dorati prima di lasciare lo spazio a tetri contorni bui.

Giulia era al centro dei miei pensieri.

Le parole che aveva pronunciato, tormentavano inesorabilmente il mio animo scosso; l'incapacità di frenare una paura e un senso d'inadeguatezza all'amore, mi inibivano profondamente. Avevo preferito ferire, piuttosto che essere ferito. L'avevo fatto, nonostante il mio cuore fosse tornato a battere dopo molto tempo, nonostante il nostro primo e intensissimo bacio fosse ancora nella mia mente e sulle mie labbra ad arrochirmi la voce e i sensi.

Giulia, al centro dei miei pensieri.

Giulia, ad aprire con un solo gesto tutti i lucchetti del mio cuore.

Giulia, il suo lottare strenuamente, la sua forza d'animo, la mia ammirazione incondizionata per quella fragile, forte creatura, per la sua determinazione a non farsi sopraffare.

Chiusi gli occhi, una mano sulla testa pet mettere ordine tra le mie riflessioni confuse. Avevo agito per paura, per bisogno di protezione, per l'endemico terrore di perdere le persone che amavo; le mie azioni l'avevano allontanata, l'avevo persa, proprio come avevo perso mia madre. Pensai a me e alla mia impreparazione emotiva a rivivere un dramma indimenticato, pensai a me e alla mia incapacità emotiva alla gioia.

Ero fatto per vivere al buio.

Il mio incubo mi invase la mente, fino a velarmi gli occhi di disperazione. Il mio incubo, l'incastro perfetto di due drammi, la stessa inevitabile, tragica conclusione. Le mie mani faggiunsero di nuovo i capelli tormentandoli, fino a strapparli via assieme ai pensieri nefasti.

Non volevo più essere triste, volevo la luce, la sua luce.

Era la prima volta da anni, che il fantasma di mia madre tornava a popolare le mie notti; l'amore della mia nuova famiglia, l'aveva lentamente racchiuso in un cassetto della memoria, ma non era riuscito a farlo scomparire. L'aggressione alla donna di cui, inutile negarlo, ero irrimediabilmente innamorato, aveva riacceso un dolore solo sopito, ma mai superato.

Con la mente tornai indietro di dieci anni.

****

I primi giorni di affidamento ai servizi sociali furono i peggiori di tutta la mia vita: notte dopo notte, rivivevo il preciso istante in cui lei era morta, la lama che affondava, il sangue che sgorgava lento ed io, solo in quel lago rosso e caldo. Ogni notte, urlavo la mia disperazione, ogni notte la mia anima si spezzava facendosi sempre più buia e fredda, incapace di reagire agli stimoli, ogni giorno uno strato in più si aggiungeva alla spessa corazza attorno al mio cuore.

Ogni giorno ...

L'unico pensiero a rallegrarmi era la consapevolezza che Arianna non avesse assistito. Non sarebbe sopravvissuta a tanto orrore. L'arrivo dei Leardi e l'affidamento alle loro cure, avevano mitigato la mia situazione e i miei tormentosi sogni. Loro erano gentili e amorevoli; avevamo finalmente trovato una famiglia, ma ogni notte, per molte notti, il volto cereo e senza vita di mia madre, tornava a popolare i miei sogni. E allora urlavo, urlavo nell'oscurità il mio dolore senza lacrime, indossando il più assoluto silenzio di cuore e anima, con le prime luci dell'alba.

Le cuffie sulle orecchie mi isolarono dal mondo ancora una volta; la voce calda e avvolgente di Sting  tranquillizzava i turbamenti del mio cuore, fino a riflettere il mio stato d'animo.

"...A fragile we are", non c'erano dubbi.

Siamo esseri fragili, ed io, ora, mi sentivo come di sottilissimo vetro soffiato.

****

Il bisogno di vedere Giulia, la ragazza che con un solo sorriso, era riuscita a scaldare il mio cuore, congelato da troppo tempo, si fece pressante; la necessità di confessarle l'entità dei miei sentimenti per lei  divennr urgenza. Dio, la volevo sentire vicina, come non avevo mai voluto nessuna.

Un movimento della porta mi distrasse dai miei pensieri intricati e la splendida visione di lei in accappatoio che entrava nella mia stanza, fu la realizzazione del mio desiderio. La tenue luce del crepuscolo si rifletteva sulla sua pelle lattea, colorandola di tonalità fosche come erano stati i miei pensieri. Rimasi incantato dalla grazia naturale che trasmetteva. Era la ragazza più bella che avessi mai visto.

Né Azzurra, né Antonia... nessuna che conoscessi reggeva il confronto.

"Arianna?!" il suo tono era timido, quasi spaventato.
Mi soffermai a guardarla prima di risponderle, la mia voce a suscitarle un tremito.

"Giorgio, io... scusami, non volevo, ho sb...sbagliato stanza." Balbettò stringendo l'accappatoio al petto come uno scudo, pronta ad allontanarsi da me.

Il mio respiro si fece più corto, il mio cuore batté più intensamente, mentre mi alzavo dal letto per raggiungerla: non ero pronto a lasciarla andare.

"Non preoccuparti, è normale, la casa è grande!"

La mia voce, solo un pallido simulacro della calma che volevo ostentare. Non ero affatto calmo; avevo paura delle sue reazioni, avevo paura che mi respingesse, ma nello stesso tempo volevo rischiare, lei valeva la pena di rischiare il mio cuore. I miei occhi la cercarono, scrutando nei suoi chiari specchi, adombrati dall'arrivo della notte, una parvenza di amore per me.

"Come ti senti?" la voce bassa, arrochita di desiderio, la mano a carezzare lenta la sua guancia. Un leggero tremito a percorrere il suo corpo.

Era freddo o desiderio di distanza?

Il mio cuore rimbombó furioso nelle tempie. I miei occhi si incastrarono nei suoi: verde e azzurro, mare e cielo. Il mio viso era a pochi centimetri dal suo, potevo sentire chiaramente il suo respiro sfiorarmi il collo in una tenera e calda carezza, e le mie labbra... Dio, le mie labbra desideravano ardentemente di sfiorare le sue.

Bruciavo.

"Devo andare, Arianna mi aspetta" sussurrò senza fiato.

Una parvenza di calma nella voce, una freddezza che non le apparteneva mi geló il cuore. Cinque parole, cinque semplici parole a segnare la distanza. Rimasi immobile mentre Giulia voltava le spalle a noi, a quello che saremmo potuti essere, se i tormentosi venti delle mie paure, non avessero avuto il sopravvento sul germoglio d'amore che era appena sbocciato tra noi.

...A fragile we are cantava Sting; non poteva essere più vero.


Sting _Fragile

The dark side of the moonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora