16 (sweetheart like you)

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Un piccolo omaggio al premio Nobel Bob Dylan

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GIORGIO

Giulia ed io eravamo in piedi nella penombra quieta della biblioteca; occhi negli occhi, mani nelle mani. Il mio cuore batteva a un ritmo nuovo, suonando una musica che non avevo mai ascoltato. Provavo qualcosa, dopo anni di vuoto, provavo finalmente qualcosa; un'emozione, un sentimento, un dolore dolce e nuovo. Mi avvicinai a lei, il suo respiro a sfiorarmi leggermente le guance, la bocca. Sentivo il suo corpo fremere con la medesima intensità del mio; i nostri corpi, le nostre anime, i nostri cuori, tutto di noi era in sintonia perfetta. Ero totalmente e incondizionatamente ammaliato dallo sguardo limpido e dolce con cui Giulia fissava il mio volto: le labbra umide, leggermente dischiuse; quelle labbra che volevo sfiorare con le mie. La mia mano agì prima che la razionalità potesse fermarla; le dita si allungarono sul suo volto liscio saggiando la morbidezza vellutata della sua pelle, toccando la linea delicata del suo profilo. La scossa che sentii fu talmente forte da farmi quasi scattare indietro.

Quasi.

Sentii il suo respiro farsi più corto, più accelerato, mentre le sue dita ricambiavano il mio gesto, risalendo dalla mano al braccio, dal braccio al collo, fino a sfiorare delicatamente la guancia ispida di barba. Chiusi gli occhi, assaporando quell'istante, beandomi del calore che dalle sue dita si spandeva fino ad arrivare a scaldare il mio cuore coperto da troppo ghiaccio. Non mi mossi, non sapevo cosa fare, come comportarmi; ero impietrito dal terrore di sbagliare mossa, di vederla scappare. Non avevo il coraggio di fare ciò che i suoi occhi mi chiedevano, non avevo il coraggio di ascoltare i miei più profondi desideri. Anche il mio respiro era corto ormai, l'eccitazione mi saliva dentro con onde ritmiche in sintonia con l'accelerazione del battito cardiaco.

"Scusami Giulia!" pensai, anzi urlai dentro di me. "Non posso farti questo!"

Misi un po' di distanza tra noi. Un po' di distanza per riprendere fiato, per pensare lucidamente, per riconquistare quella freddezza, che accanto a lei, sembrava evaporare.

"Ti aspetto sabato, a casa mia." Dissi con una voce nuova, roca e sensuale persino alle mie orecchie, "ti prego, non mancare." Continuai come fosse una preghiera.

"Ci sarò!" rispose semplicemente, allontanandosi ancora un poco da me. Tornò a sedersi privandomi del suo calore; il freddo invase nuovamente le membra portandomi a riprendere una parvenza di lucidità.

Quando Franz passò a prendermi in biblioteca, erano ormai quasi le otto di sera, Giulia ed io eravamo ancora seduti li, concentrati in un lavoro che avevamo trascurato troppo, sommersi da riviste e da schizzi accartocciati. Parlavamo di progetti da inserire nella ricerca, di Rem Koolhaas in contrapposizione a Le Corbusier; parlavamo la stessa lingua, una lingua sconosciuta a molti, ma non a noi. Eravamo in sintonia, la nostra perfetta sintonia.
Il mio amico si accomodò accanto a noi scrutandoci con interesse. M'innervosii per l'insistenza di quello sguardo. Sapevo che, non appena avesse notato la nuova complicità che si era creata con Giulia, o i nostri occhi luminosi di desiderio, o le guance, ancora arrossate dall'imbarazzo per le brevi carezze che c'eravamo scambiati, mi avrebbe costretto a parlare.
Bastò un suo breve sguardo e fui immediatamente consapevole che l'interrogatorio sarebbe arrivato. Presto.

"Allora Giulia, ci vediamo" disse Francesco. L'avevamo accompagnata a casa, non sopportavo l'idea che andasse in metropolitana di sera da sola, e poi ero curioso di vedere dove viveva.

"Sì, a presto" rispose con un sorriso dolce e grato. "Noi invece ci vedremo domani Giorgio! Non sparire, abbiamo un sacco da fare." La sua voce aveva un tono autorevole che mi fece sorridere.

"Sì, a domani!" risposi, imbarazzato dalla presenza del mio amico più caro. Salimmo in macchina, eravamo soli, Nia era tornata a casa prima.

"Autoritaria la piccola, mi piace!" disse facendomi un largo sorriso. Se non avessi saputo quanto il mio amico fosse cotto di mia cugina, avrei potuto rispondergli in malo modo; ma Franz era fatto così, sincero e diretto, nel bene e nel male. "Allora, cosa succede tra te e Giulia?" Ecco appunto! "Lavoriamo insieme, ecco cosa succede!" Cercai di essere evasivo ma non ci cascò.

"Giorgio, non me la dai a bere, io c'ero, ho visto come vi guardavate".

"Giulia mi piace, ok!" Ammisi timidamente. Non avevo il coraggio di guardarlo, quest'ammissione era il massimo che potevo concedere alla sua curiosità.

"EVVIVA! Finalmente! Era dal periodo in ospedale che l'avevo capito." Francesco sembrava veramente felice per me, ma io avevo ancora molte perplessità.

Come avrebbe reagito quando le avessi raccontato del mio passato?

Volevo muovermi con attenzione con lei, conoscerla meglio; avevo bisogno di tempo; tempo per trovare le parole, tempo per non spaventarla.

"Che cosa sa Giulia di te?" La voce di Francesco era tornata seria, perdendo la scherzosità che l'aveva caratterizzata fino a qualche minuto prima. Conosceva le mie paure, le mie angosce (o almeno una loro parte); escludendo Giovanni, Franz era sempre stata la sola persona con cui fossi riuscito ad aprirmi almeno un po'.
Era con la sincerità e la spontaneità, che aveva conquistato Nia, era con la lealtà, che aveva conquistato la mia fiducia e la mia amicizia.

"Le ho raccontato dell'episodio della spiaggia!" Francesco sgranò gli occhi.

"E come ha reagito? Giorgio, le hai detto proprio tutto?" Il mio amico non aveva assistito all'esplodere della mia furia, ma Antonia ne era rimasta sconvolta e così Filippo. Per giorni mi avevano evitato, per giorni mi avevano lasciato solo a rimuginare sulla gravità di quanto avevo commesso. Solo lui era riuscito ad avvicinarmi e gli sarei stato per sempre grato del passo che aveva fatto verso di me.

"Sì, tutto." Dissi sommessamente. Mi odiavo ancora per quell'episodio.

"E lei"

"Mi ha risposto che non le importa, che lei mi conosce per quello che sono!" Faticavo ancora ad accettare quella risposta.

Come poteva essere così incosciente e ingenua da non rendersi conto del pericolo, del dolore che avrei potuto causarle?

"Non le importa!" Era sgomento e incredulo quasi quanto me. "E bravo il nostro Giorgio, che si è trovato una fantastica, perfetta ragazza!" Concluse con un sorriso dandomi un buffetto sulla guancia.

"Franz, smettila! Giulia non è la mia ragazza." Dissi con un sospiro esasperato.

"Non ancora Giorgio, non ancora!" sorrise di più. "Dai, ti offro una birra così brindiamo alla nascita di un amore." Disse accostando accanto a un locale dall'aria molto cool. Sì, una bevuta con un amico era quello che ci voleva. Entrammo, accompagnati dalla voce calda e roca di Bob Dylan nel nostro dirigerci verso il bancone.

"Ho paura!" confessai bevendo direttamente un sorso dalla bottiglia. La mano di Francesco si alzò a mezz'aria, ma evitò di toccarmi. Nessuno mi toccava senza il mio consenso. Nessuno, solo lei.

"Sarà bellissimo!" Disse infine, guardandomi con un sorriso rassicurante. "Sarà bellissimo lasciarsi andare alla dolcezza dell'amore, alla gioia, alla passione!" Mi sorrise complice. "L'amore, ti riempirà talmente tanto che dimenticherai tutti i timori che hai adesso".
Dubitavo che sarei mai riuscito a superarli i miei timori. Ero un orfano, ero stato abbandonato dall'unica persona che avrebbe dovuto amarmi incondizionatamente. Ero un orfano, e tutti mi avrebbero abbandonato alla fine.
Quando arrivai a casa, ero esausto, avevo bisogno di stare solo, di stendermi sul mio letto e ripensare all'istante preciso in cui stavamo quasi per baciarci.

Quasi.

Bob Dylan _ Sweetheart like you

The dark side of the moonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora