42 (Snow)

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GIORGIO

Era passato più di un mese da quando avevo lasciato Giulia. Un mese pieno di dolore, incubi e risvegli notturni, un mese in cui la sofferenza, che credevo di alleviare allontanandomi da lei, si era invece ingigantita a dismisura. Quasi non riuscivo più a respirare, a mangiare, a vivere, lontano dal suo bellissimo sorriso. Lei era la prima donna alla quale avevo aperto il mio cuore, la prima che aveva squarciato la pesante armatura che lo proteggeva. L'avevo lasciata andare, il mio amore; avevo lasciato che mi odiasse, che ricordasse solo la mia parte più dura; forse così il distacco sarebbe stato meno doloroso.

L'avevo fatto per lei, io ero pericoloso.

Il ricordo del suo sguardo spaventato, perseguitava ancora le mie notti; i suoi occhi pieni di pianto, mentre le stringevo i polsi sputandole addosso parole colme di durezza, non riuscivo a cancellarli dalla mia mente.

Sì, sarebbe stata senz'altro meglio lontana da me.

Guardai fuori dalla finestra, il mare invernale, agitato da un vento di burrasca, rifletteva perfettamente il mio stato d'animo attuale. Uscii stringendomi nel mio giaccone imbottito, il mare... un richiamo troppo forte per sfuggirvi; il vento, una sirena pronta a attrarmi con il suo canto.

Passeggiai sul bagnasciuga deserto, lasciando che le onde mi lambissero i piedi nudi.

Mi sentivo solo. Da quando ero stato adottato, non mi ero mai allontanato per tanto tempo dalla mia famiglia: mi mancava Arianna, la sua saggezza, il suo sorriso rassicurante; mi mancavano i consigli di mio padre, la dolcezza di mia madre, ma soprattutto, mi mancava Giulia.

Il dolore passerà presto!  Ripetevo cercando di convincermi, sperando che questa sorta di mantra, trasformasse i miei desideri in realtà.

Passerà presto!

Mentivo a me stesso, il dolore aumentava a dismisura, giorno dopo giorno. La voragine aperta nel mio petto da quando l'avevo lasciata andare, pulsava sempre più dolorosamente. Rientrai infreddolito nella casa che i miei usavano per le vacanze estive, grande, solitaria e vuota. Mi sedetti al pianoforte, unica compagnia nei giorni di volontario isolamento, unica occupazione in giornate sempre uguali a sé stesse.

Componevo.

"Dolore" il titolo che avevo scelto per il brano che giorno dopo giorno si formava nella mia mente e sulle mie dita; perché di questo era fatta la mia vita.

Dolore, fisico e psicologico.

"Ora passa...." dissi a me stesso, mentre le mie dita si posarono lievi sui tasti,

Passerà presto! Le prime note cominciarono a fluire lente.

Passerà presto! Stavo mentendo a me stesso.

Passerà presto! Il dolore non sarebbe passato.

Mi alzai di scatto, il telefono nella mia mano, le dita a comporre leste un numero che avrei voluto digitare ancora e ancora, un numero impresso nella mia mente.

Volevo sentire la sua voce. Digitai il numero, restando sconosciuto.

"Pronto? Sono Giulia Mancini." Era la sua voce, una voce diversa, spenta, triste; una voce che fece salire un brivido lungo la mia schiena. Stava soffrendo, potevo sentirlo chiaramente.

"Chi parla?" Ancora quel tono monocorde. Non riuscii a trattenerle le parole, che uscirono libere dalle mie labbra.

"Giulia!"

Un tonfo fece battere il mio cuore più velocemente e il cupo silenzio che ne seguì lo portò quasi ad impazzire.

"Giulia, mio Dio..." qualcuno parlava con lei ma stentavo a riconoscerne la voce.

"Giulia, cosa ti succede..."

Il mio cuore prese a battere all'impazzata.

Cosa stava succedendo?

Presi le chiavi dell'auto e dopo aver chiuso a chiave la casa, ripartii in direzione Roma. Parcheggiai sul marciapiede davanti a casa di Giulia, al diavolo le multe, in quel momento volevo soltanto capire cosa le era accaduto. Le luci della portineria erano accese, bussai delicatamente e sperai che la signora Flora si affacciasse per aprirmi. Aspettai, i piedi scalpitavano dall'urgenza di andare da lei e il ritardo della portinaia mi rese più nervoso.

Bussai ancora.

La faccia rotonda di Flora si affacciò alla vetrata dell'ingresso, la sua espressione cambiò impercettibilmente e notai dell'astio nei suoi occhi vispi.

"Anvedi chi se rivede, il ragazzetto ricco cor la puzza sotto er naso!" Non mi sbagliavo sull'astio.

"Buonasera signora" ero quasi intimidito da questa matrona dallo sguardo severo.

"Vorrei vedere Giulia, posso salire?" Lei fece un moto di stizza e avvicinò la sua larga faccia al vetro della guardiola.

"Senti rigazzì anvedi di andattene... non l'hai fatta già soffrì abbastanza quella porella? Nun te rendi conto che così le fai solo der male?" Cominciavo a preoccuparmi seriamente.

"Senta signora," la implorai con tutto il corpo "ho bisogno di vedere Giulia, so che le ho fatto del male, ma... è proprio per questo che..." Non so cosa la convinse, se il mio sguardo disperato o l'urgenza insita nel mio tono di voce, ma mi aprì il portone.

"Rigazzì, stai attento, Giulia è come vetro soffiato ora..." una frase lasciata in sospeso, aleggiante, misteriosa.

Titubante salii i gradini che conducevano suo appartamento, non sapendo quale accoglienza aspettarmi. Ero scappato via lasciando solo una lettera e nessun'altra spiegazione, mai una telefonata, e ora come il figliol prodigo, tornavo a casa. Bussai alla porta, timoroso, titubante, incerto su chi mi sarei trovato di fronte; la porta si aprì e la sagoma di mia sorella si stagliò nella cornice dell'uscio.

"Giorgio!" la sua espressione passò repentinamente dalla sorpresa rabbia. "Hai deciso di degnarci nuovamente della tua presenza?" La voce troppo acuta e carica di astio di Arianna, mi fece capire quanto avesse sofferto per la mia assenza, ma per quanto volessi abbracciarla e spiegarle le ragioni della mia fuga, non era lei la prima a cui dovevo dei chiarimenti.

"Ciao, Arianna, anch'io sono felice di vederti..." il sarcasmo non era l'ideale, lo sapevo, ma l'urgenza che sentivo andava al di la della buona educazione.

"Dov'è Giulia? Come mai sei qui?"

Volevo sapere, dovevo sapere.

La sua mano, colpì violenta la mia guancia e l'abbraccio che seguì, improvviso e stretto mi sorpresero e mi turbarono al tempo stesso. Cos'era successo durante la mia assenza?

"Come sta Giulia!" Dissi staccandomi da lei e massaggiandomi la guancia indolenzita. Arianna mi guardò, ma non replicò all'unico interrogativo a cui volevo una risposta. I suoi occhi mi fissarono, come per assicurarsi che fossi vero, che fossi davvero davanti a lei

"Sei diverso, Giorgio, sei cambiato." Non sapevo cosa intendesse, non avevo voglia di fare conversazione, raccontarle dei miei tormenti, della mia sofferenza per questo distacco forzato; mi diressi verso la stanza di Giulia. Arianna si parò di fronte a me; lo strano sguardo lucido che mi rivolse mi fermò immediatamente.

"Come hai potuto fare questo alla donna che ami!" Disse con freddezza, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo. "...Perché tu la ami, vero?" Continuò in tono più basso. Annuii senza avere la forza di parlare.

Cosa le avevo fatto? Perché lei non era qui?

"...Come hai potuto fare questo a me, a mamma, a papà! Non immagini la nostra angoscia? La mia angoscia! Come ti sentiresti, se tutta la tua famiglia sparisse senza lasciare traccia?" Mi avvicinai asciugandole le lacrime con una carezza.

"Arianna, ti prego, perdonami se puoi." Strinsi l'esile corpo di mia sorella tra le braccia, riconoscendo nel cerchio d'affetto con cui mi circondava, il profumo di casa.

"Giorgio, Giulia è nell'altra stanza, dorme, sua madre è con lei!" Uno strano freddo brivido mi salì lungo la spina dorsale.
La guardai.

"Giorgio, tu non sei il solo ad essere cambiato!"

RHCP _Snow

The dark side of the moonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora