65_Anima fragile

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GIORGIO

"Mio padre picchiava mia madre, lo sapevi?" Dissi più a me stesso che a lei. "La sentivo piangere e pregarlo di smettere," sussurrai. "Ogni sera, quando tornava a casa, per ogni sciocchezza, per ogni piccolo errore, lui la picchiava." Mi costava parlarne, ma dovevo farlo, ne avevo un bisogno disperato. Ascoltai il suono della mia voce strozzata e cupa, irriconoscibile persino alle mie orecchie, con la mente e il cuore in subbuglio.

I ricordi, tanto sapientemente nascosti negli anni, affiorarono in superficie come olio sull'acqua: densi, duri, quasi dotati di una qualche forma di materialità.

La mano di Giulia si strinse nella mia in un gesto d'istintivo conforto, la sua spalla si appoggiò a me. Silenziosa e attenta la piccola donna che mi era accanto, stava condividendo lo spazio oscuro e densamente intricato della mia anima e del mio passato.

"Tu non sei tuo padre, Giorgio."Mi parve di sentirle pronunciare, ma non ne ero sicuro, perso com'ero nel labirinto della mia memoria. Era finalmente giunto il momento di mostrarle tutto me stesso, tutto lo schifo della mia vita passata. Ero pronto, glielo dovevo.

Le dovevo la verità, quella che lentamente stava tornando alla luce, solo così avrebbe potuto scegliere, solo così sarebbe stata libera di scappare via, oppure e lo speravo, di restarmi accanto. Nessun rimpianto doveva lambirle il cuore, nessun dubbio doveva macchiarle l'anima. Dovevo darle gli strumenti per scegliere; perché i miei giovani occhi avevano visto dei veri orrori e questi orrori mi avevano trasformato per sempre.

Portavo un grande peso su di me e questo fardello era troppo pesante perché le fragili spalle della mia ragazza se ne caricassero addosso il peso senza consapevolezza.

"Una sera ho sentito urlare molto forte e spaventato sono entrato nella loro stanza: mia madre aveva il vestito strappato e il viso coperto di sangue. Ho provato ad aiutarla, ma ero piccolo, troppo piccolo!" La lucidità con la quale ripercorrevo il passato mi sorprese. "Mio padre, sempre ubriaco e forse drogato, continuava a infierire su di lei tutti i giorni, tutte le notti, indifferente alla mia presenza e alle sue preghiere! Nei suoi scatti d'ira, picchiava selvaggiamente anche me; davvero non so come ho fatto a sopravvivere alle sue botte." Mi sentii accarezzare, le sue dita erano fredde e morbide ed io non riuscivo a smettere di parlare. "Per fortuna che Arianna non viveva con noi all'epoca, lei non sarebbe sopravvissuta a tanta violenza!" Un sorriso amaro comparve sul mio volto,. Ero felice per lei, ma invidiavo la sua inconsapevolezza, il suo essere stata preservata, protetta da un mondo di sofferenze quotidiane.

Perché lei e non io?

Chiusi gli occhi e in un istante mi ritrovai a casa, in quella stanza inospitale e fredda. Non riuscivo a sentire più nulla a parte il freddo e l'odore di tabacco e alcool.

****

"Giorgio piccolo mio" Una voce insolitamente dolce mi chiamava a sé.

Dove mi trovavo?

Non riuscivo a percepire nulla attorno a me, solo una calda, rassicurante luce, che mi avvolgeva riempiendomi d'infinita gioia. Se fin ora il mio rifugio era stato l'oscurità, dovevo ammettere che era piacevole il tepore che ora sentivo addosso.

"Dove sei?" Ancora quella voce, così tenera, così familiare.

Mi voltai alla ricerca della fonte, ma non riuscivo a scorgere nulla, troppa luce attorno a me perché potessi vedere.

"Giorgio, cosa ti succede. Perché sei così triste?" Il tono era angelico, ma percepii una strana inquietudine in quella voce.

"Mamma," realizzai improvvisamente, mentre una rabbia feroce montava improvvisa nel mio animo.

The dark side of the moonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora