72 (E' necessario)

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GIORGIO

Con la mano tremante presi tra le dita quel fragile tesoro. Gli occhi bruciavano di lacrime a stento represse, non volevo piangere, non di fronte a loro. Non volevo che vedessero quanto tutta quella storia mi avesse toccato nel profondo.

"Come stai?" la voce di Antonello era così rassicurante e tenera...

Quanto avrei desiderato che in quella lettera ci fosse stato scritto che il nostro vero padre era lui e non il mostro che mi aveva distrutto la vita. Avrebbe alleviato la mia pena sapere che esisteva una ragione per tutto ciò che ero stato costretto a subire e che ancora condizionava la mia vita. Mio padre, se così si poteva chiamare quell'uomo, era un folle. Era bastato un sospetto, infondato per giunta, per condannare suo figlio a una vita di orrore e violenza.

Solo un sospetto, un sospetto.

Volevo urlare, esternare la mia rabbia, gridare contro il cielo per quell'enorme ingiustizia, ma come sempre restai fermo, fremente di disperazione.

"Giorgio," la voce di Giulia distolse il mio sguardo dal vuoto che sentivo intorno per riportarmi a sé e all'uomo che aveva donato una goccia di luce alle tenebre che avevano oscurato la vita di mia madre.

"E lei, come sta?" Chiesi all'uomo che ancora la piangeva.

Non rispose, ma continuò a guardarmi con occhi colmi di lacrime non più versate.

Quelle parole, scritte nero su bianco e lette con tanta emozione da Antonello Vinci, avevano rotto l'incantesimo, liberando la mia mente e il mio cuore da tutti i dubbi e le incertezze. Solo il risentimento e la nostalgia restavano strenuamente ancorati al mio cuore: risentimento per l'uomo che aveva distrutto la mia infanzia; nostalgia per la vita che avrei potuto vivere se solo mia madre fosse stata più forte, più coraggiosa o semplicemente più fortunata.

Era in un vicolo cieco e quel suo gesto tanto estremo, era l'unico possibile per lei, per la sua mente ottenebrata dall'orrore e dalla violenza. Per anni l'avevo creduta vittima e carnefice, per anni l'avevo accusata di non avermi amato abbastanza. Forse era così, ma dopo quella lettera, non mi sentivo più di condannarla senza possibilità di appello. Avrei tanto voluto stringerla ancora una volta tra le mie braccia.

Sentivo tutto attorno a me, Giulia che singhiozzava ancora scossa dalla drammaticità del racconto, Riccardo che si scusava per avermi accusato ingiustamente, la porta che si chiudeva lasciandoci soli. Sentivo tutto, ma non riuscivo a interagire, troppo concentrato su ciò che avevo tra le mani.

Vi prego pensai, lasciatemi un istante, lasciatemi tornare indietro anche solo con la mente a quel giorno, quel giorno maledetto.

Ne ho bisogno, devo ricordare, devo ricordarla.

Con le mani sfiorai la carta da lettera, era fragile e delicata, mi ricordava lei,  aveva il suo profumo, la sua delicatezza, ma nelle parole, traspariva la sua disperazione e quella forza che credevo non esistesse.

Lasciatemi un istante per toccare questa lettera. Mia madre l'ha sfiorata, mia madre l'ha scritta... pensai ancora sospirando.

Giulia carezzò il mio viso, il suo tocco caldo mi arrivò dritto al cuore.

Una lacrima solcò il mio volto tracciando una scia umida sulla mia guancia: una lacrima per Elisabetta.

Un'altra lacrima scese, infrangendosi sulla carta delicata: una lacrima per me, per il mio passato oscuro, per il mio futuro incerto.

Mi voltai tuffando i miei occhi liquidi nei suoi specchi cristallini. Era meravigliosamente bella, tenera, con le guance arrossate e gli occhi lucidi.

"Ho ritrovato mia madre," sussurrai commosso.

The dark side of the moonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora