Capitolo 1.02

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Le scarpe già le facevano male.

E non era ancora arrivata. La macchina di servizio in dotazione per la durata del reportage la portò di fronte alla sede della federazione calcistica spagnola più famosa del paese. Il centro nevralgico de "La Roja" come tutti la chiamavano: la prima cosa che aveva imparato sulla squadra in quel pomeriggio e che si era già appuntata sul blocchetto.

Victoria, stretta nella camicia bianca abbinata ai jeans scuri e alle scarpe consigliate da Ines, giocava nervosamente con le punte dei suoi capelli, sciolti lungo le spalle, e sospirava di tanto in tanto.

"Nervosa?" le domandò l'autista dell'auto fermandola di fronte all'ingresso della sede.

"Abbastanza. Secondo lei ce la faccio?" domandò sentendo lo stomaco chiudersi in una morsa che quasi non la faceva respirare.

"Certo che ce la fa." sorrise lui alzando un pollice in segno di approvazione. "E...direi che deve dimostrarlo esattamente ora: siamo arrivati."

Victoria trasse un sospirò, aprì la portiera. "Se ti chiamo urlante tra dieci minuti, vienimi a prendere ti prego."

L'autista si mise a ridere. "In bocca al lupo signorina Sanz! Vedrà andrà tutto bene!" esclamò.

Victoria non rispose, chiuse la portiera, strinse la borsa a tracolla a sé e si fece coraggio. Forse non era così terribile, forse sarebbe andato tutto liscio - o forse no.

Mille pensieri la tormentavano: provò a liberare la mente, a concentrarsi come faceva sempre, "è un servizio come gli altri" continuava a ripetersi in realtà la paura di fallire la stava lentamente divorando.

Arrivò alla porta d'ingresso, spinse con forza appoggiando la mano sulla maniglia e subito venne accolta da una ragazza - vestita in tuta da ginnastica, o qualcosa di simile.

"Prego?" disse lei agitando la sua coda alta da una parte all'altra, mentre la squadrava.

Victoria la guardò per un attimo: sapeva che i tacchi non erano la scelta giusta - non in un ambiente come quello.

"Salve, io sono la giornalista della..."

"Ah sì so tutto eccovi finalmente. Dove era finita?" domandò senza lasciarla finire.

"Mi scusi" balbettò Victoria "il traffico a Madrid di martedì è pazzesco.."

La ragazza cominciò a camminare per la stanza, attraversando porte e stanze, Victoria la seguì per tutto il tragitto cercando di starle dietro - un'impresa alquanto impossibile sia per i suoi tacchi, sia per la velocità con cui l'atleta di fronte a lei camminava. Le era venuto persino il fiatone, quando finalmente si fermò.

"Ok questa è la stanza, lì c'è l'acqua, il microfono, presenti il progetto, loro sono seduti lì, arriveranno tra dieci minuti. Stanno finendo l'allenamento e devono cambiarsi..il mister li vuole versione Men in black ha presente?" parlava così veloce che Victoria era sicura di non aver sentito qualcosa di importante.

Si sentiva sempre più agitata.

"Scusi...microfono?" disse, perplessa.

"Sì. Parlerà da qui."

Victoria si guardò intorno. Non si era accorta di essere sopra un palco. Incredibile. Avrebbe voluto mettersi a piangere, ma non poteva. Non a cinque minuti dall'inizio.

L'orologio dietro di sé continuava a ticchettare. Cinque minuti e sarebbe ufficialmente morta di vergogna - fantastico. Si sarebbe licenziata, ecco cosa avrebbe fatto. Licenziata solo per l'assistente con la quale aveva dovuto parlare e licenziata per la piega che quel reportage stava prendendo.

Trilogia con Sergio RamosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora