24: Incubi

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Sono passati giorni dal nostro bacio, ed oggi è Mercoledì.
Fuori dalla finestra la pioggia cade incessantemente, è frustrante perdere tutti questi giorni a letto quando potrei fare qualcosa di produttivo; tipo uscire con Levi. Non abbiamo più parlato da quel momento e vederlo con lo stesso sguardo assente privo di emozioni mentre è seduto sul divano a leggere fa male. Che mi stia ignorando?
Fisso il soffitto per un tempo indeterminato finché un rumore fuori dalla porta non mi distrae, dunque decido di togliermi le coperte di dosso e alzarmi dal letto.
Spero solo non sia mia zia, non vorrei mi facesse la predica perché ho saltato un altro giorno di scuola. Effettivamente non dovrei perché rimango indietro col programma ma sinceramente sono un ragazzo sveglio e non ho mai avuto problemi di comprendonio.

Muovo un passo verso la porta quando un tuono mi fa sobbalzare e immobilizzare sul posto.

Un brivido mi percorre la schiena e mi scuote il corpo provocandomi pelle d'oca sulle braccia.

Afferro la maniglia della porta, fredda al tatto, e la apro, rivelando il corridoio illuminato dalla luce del lampadario.

Perché la luce è accesa?

Scrollo le spalle rabbrividendo per il freddo provocato dal contatto dei miei piedi nudi sulle mattonelle gelide del pavimento.

Intorno a me un silenzio inquietante. Scendo le scale ritrovandomi sul pianerottolo, e intravedo una luce provenire dalla cucina.
Spaventato mi affaccio e trovo qualcuno piegato a frugare dentro una dispensa della cucina.

Mi avvicino lentamente e appena sono più vicino la persona si volta di scatto e lancia un urlo, saltando sul posto.

Poi, con la fronte madida di sudore, si porta una mano al petto, come per evitare la fuoriuscita del suo cuore da esso.

Non riconosco la ragazza che ho davanti eppure mi sembra stranamente familiare.
Corti capelli rossi, occhi verdi...
Non riesco a collegare il volto alla situazione nella quale mi sembra di averla già vista.

Non riesco a proferire parola che la serratura del portone d'ingresso scatta e il suono familiare di buste di plastica si fa spazio nel corridoio.

Qualche attimo dopo, vedo il mio nanetto preferito fare il suo ingresso in cucina, portandosi addietro numerevoli sacchetti della spesa traboccanti di cibo.

Sembra neanche accorgersi di me.

La rossa gli si avvinghia al collo e gli lascia un bacio fuggente sulle labbra.

Rimango immobile un attimo, giusto per assimilare i fatti appena accaduti.

Sogno o son desto?

Ho paura di essere sveglio, e a confermarlo sono le lacrime che minacciano prepotentemente di uscire e riversarsi sul mio volto.

Chino il capo e a testa bassa infilo le scale rifugiandomi nuovamente in camera mia.

Mi avvicino alla finestra.

La luce dei lampioni è offuscata dalla violenta pioggia che affittisce l'atmosfera.

I fari delle macchine che sfrecciano per strada fendono l'aria illuminando i marciapiedi in cemento armato.

Sospiro mentre le immagini di poco fa mi fanno girare la testa, e barcollo, avvicinandomi al letto.

Ci cado a peso morto mentre, in silenzio, consumo le mie lacrime.

Chi era quella ragazza? Perché era in casa nostra e perché ha baciato il MIO Levi?

Il mio telefono si illumina, preannunciando una chiamata.

Non riesco a vedere nitidamente il nome sullo schermo ma intuisco sia Armin dalla fotografia. Raffigura un biondo coi capelli a caschetto che gli incorniciano il volto sorridente. Con le mani fa il classico segno di vittoria, e gli occhi cristallini sono socchiusi.

Sospiro nuovamente, mentre ignoro la vibrazione del telefono che rischia di cadere dal comodino.
Blocco lo sguardo sul soffitto e penso ad Armin.
Lo invidio, sinceramente.

Come fa ad essere costantemente felice? Come fa, mi chiedo, ad avere sempre quel suo maledettissimo e sincero sorriso stampato su quel piccolo e ingenuo faccino?

Come fa a non riuscire a vedere la mostruosità del mondo che ci circonda? Come, come?

Nel frattempo il telefono ha smesso di vibrare e l'unico suono che si avverte nella stanza è la pioggia che batte contro i vetri, qualche tuono e il mio cuore che batte all'impazzata.

*

Apro gli occhi, infastidito da qualcosa a me momentaneamente sconosciuto.

Sbatto le palpebre più e più volte, per mettere a fuoco la situazione e alleviare il fastidio dovuto alla forte luce che si staglia sui miei occhi.

Davanti a me, il volto di mia madre sorridente, che mi accarezza il viso e mi sussurra un dolce buongiorno.

Alle mie narici giunge odore di colazione appena sfornata. Sotto le coperte si avverte un piacevole seppur strano calore e fuori il sole splende.

Eppure in tutto questo c'è qualcosa che non va.

Forse il fatto di non essere nella mia camera ma su un letto d'ospedale? Forse il fatto che mia madre non è mia madre ma un essere dalla pelle violacea e grinzosa e gli occhi spugnosi?

Lancio un urlo, che non si fa strada per le mie corde vocali ma mi muore in gola. Mi sento impotente, il caldo delle coperte mi sta bruciando la pelle e non riesco a muovere alcun muscolo.
L'odore dei cornetti si trasforma in un odore di zolfo, insopportabile per il mio olfatto.

D'un tratto non respiro più.

La mia testa è immersa in un vortice e la stanza sembra girare, catturata in un tornado infinito.

Apro gli occhi di scatto, capendo di essermi addormentato e di aver avuto un altro dei miei soliti incubi. Questi sogni si succedono fin da quando ero piccolo. Respiro pesantemente, e l'unico rumore che arriva alle mie orecchie è lo scrosciare incessante della pioggia.

La stanza è avvolta nell'ombra e nell'oscurità e mi chiedo che ore siano ormai.

TADAAAAA

Sono viva prima che possiate chiedermelo.

Sapete, il solito blocco dello scrittore.
Ho riscontrato diverse difficoltà nello scrivere questo semplicissimo capitolo e ci ho messo più di un'ora per elaborarlo e buttarlo giù.

Spero vi piaccia anche se non è il meglio.

Ciaooohhh!

Do you remember me?→EreriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora