PROLOGO

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La vita non è tutta rose e fiori.

Io Veronica Summers, ne ero consapevole.

Appena nata venni abbandonata dalla donna che mi mise al mondo.

Lasciata in un piccolo ospedale della periferia di Brooklyn, i dottori mi diedero un nome e si presero cura di me per i primi mesi di vita, dopodiché venni affidata agli assistenti sociali. 

Passai così da una famiglia affidataria all'altra fino ai dieci anni.

L'ultima, intenzionata ad adottarmi, a causa di una malattia cardiaca scoperta poco dopo il mio decimo compleanno, decise di non prendersi quella responsabilità.

Dovetti sottopormi a diversi esami e per il resto della mia vita avrei dovuto prendere dei medicinali per non complicare la situazione.

Ecco il motivo per cui non fui mai adottata. Chi vorrebbe una bambina piena di problemi e soprattutto con una patologia cardiaca? Nessuno.

Gli assistenti sociali e i medici decisero che fosse meglio per me vivere in un orfanotrofio.

Lo stabile, non distante da Manhattan, contava una zona alloggi, una mensa, alcune stanze utilizzate come classi scolastiche e un salone ricreativo. Inoltre disponeva di un reparto medico con i migliori dottori del Paese, per chi ne necessitasse.

Da sette anni quel posto era la mia casa e quelle persone la mia famiglia.

Le mie giornate non erano come una qualsiasi routine di una normale diciassettenne fatta di scuola, amici, uscite e feste, serate al cinema o frequentare ragazzi. No, la mia vita era dentro a quelle mura almeno per la maggior parte del tempo. 

La mattina mi alzavo e facevo colazione con i miei "fratelli", ragazzi e ragazze dalle più varie età e problemi; successivamente avevo la visita generale mattutina dal mio cardiologo, il Dottor Smith. Si susseguivano poi le ore scolastiche e il pomeriggio solitamente lo passavamo nel salone ricreativo dotato di una TV e playstation, computer, libri e cd. In primavera e in estate potevamo stare nel cortile che delimitava l'orfanotrofio. Ai più grandi era consentito uscire da lì ogni tanto, tranne a me. Io uscivo poco a causa della mia malattia, per la mia sicurezza non dovevo sforzare troppo il cuore.

Durante i primi anni di permanenza avevo fatto amicizia con due ragazzi, quelli che ora potevo considerare i miei migliori amici: Alexandra e Matthew.

Alex aveva sedici anni.

I suoi genitori morirono quando lei era solo una bambina di cinque anni in un incidente stradale con lei e sua sorella a bordo, si salvò miracolosamente.

Raggiunse l'orfanotrofio qualche mese dopo.

Il giorno in cui arrivai io stringemmo subito amicizia.

Piuttosto alta e slanciata con lunghi capelli rossi e occhi verde smeraldo, era come un uragano: sincera e schietta, divertente e solare. Vedendola così nessuno potrebbe pensare all'inferno che avesse dovuto passare, ma conoscendola bene molto spesso usciva il suo lato triste e malinconico. Tuttora programmava delle sedute con uno psicoterapeuta interno per superare la perdita della sua famiglia e i suoi incubi.

Lei tutto il mio contrario.

Io ero bionda con occhi azzurri, bianca come il latte, timida e riservata, rispettosa delle regole e spesso triste. Non ero brava nei rapporti, molti mi definivano fredda e distaccata.

Poi c'era Matt di diciannove anni.

Arrivò un anno dopo di me.

I genitori, due sudamericani, furono arrestati per spaccio e uso di droga.

Possedeva la tipica bellezza latinoamericana: capelli lunghi e neri così come gli occhi, pelle olivastra.

Aveva un carattere piuttosto complicato. Qualcuno a volte lo evitava per timore o perché era scontroso, non di molte parole. Aveva raggiunto la maggiore età ma non aveva voluto andarsene. Dava una mano al personale e spesso si prendeva cura dei bambini più piccoli.

Nonostante il nostro passato nessuno odiava la propria vita. Eravamo tutti grati di essere stati accolti e cresciuti da persone straordinarie, quando la nostra vera famiglia non l'aveva fatto.


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Ciao a tutte/i! Questa è la prima storia che pubblico su Wattpad, spero vi piaccia.

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