Capitolo 16

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Pov Leonard



Ogni qual volta che varcavo la soglia di casa, un senso di disagio si piantava nel mio petto, finché non tornavo da Yves.

I miei genitori, persone pretenziose, che vedevano il mondo in bianco e nero. L'unica ragione che esisteva, era la loro.

Impressionante, come due persone oggettivamente intelligenti, avessero la mente tanto chiusa.

Io, per loro, avevo in fronte, la scritta 'delusione' a caratteri cubitali e sarebbe stato sempre così.

Ora di colazione, sapevo già come li avrei trovati. Uno immerso nel suo tablet, l'altra immersa nelle sue pratiche legali, entrambi davanti a una tazza di caffè e nessun scambio di parole.

Seguii la domestica fino al salotto, dove l'immagine che avevo supposto, divenne reale.
Ottenni l'attenzione di entrambi, sorpresi di vedermi lì, dopo giorni di silenzio.

"Cosa avete in mente, stavolta?" andai dritto al punto, provocando un'espressione contrariata sul viso di mia madre.

"Potresti anche fingere di preoccuparti per noi" asserì e strisciai una sedia sul pavimento, lasciandomi cadere malamente su di essa.

"No mamma, quello è il tuo ruolo e ti riesce anche molto bene" replicai, notando che mio padre stava per rimproverarmi, come se realmente rispettasse la donna che aveva sposato.

"Non sono qui per litigare, voglio sapere perché mi avete tagliato i fondi, senza parlarmene" dissi, stranamente calmo.
"Per favore, la verità. Perché di problemi economici, data la macchina nuova e le due domestiche in più, non credo che ci siano. Avrò la mia eredità tra meno di un anno, quindi qual è il vostro piano?"

Si scambiarono delle occhiate, consci di essere alle strette, poi fu mio padre a parlare.
"Al contrario di ciò che pensi, noi ci preoccupiamo per te, è stato un gesto avventato e brusco ma abbiamo pensato che avresti potuto valutare altre strade"

E si finiva sempre lì, su altre strade, un lavoro concreto e quel genere di cose che non facevano per me. Avere successo per la propria creatività, una delle imprese più difficili ma perché non potevo essere io, l'uno su un milione?

"Pensi che non ti conosciamo, invece sappiamo che sei pieno di dubbi e paure. Per ciò che vuoi fare, oltre al talento, c'è bisogno di determinazione, forza mentale e anche un bel po' di sfacciataggine. Lo fai perché ti piace ma alla fine, quanto reputi buono il tuo lavoro?" continuò mia madre, aumentando quel peso al petto, ormai insopportabile.

Già, quanto reputavo buono il mio lavoro?
Sempre non abbastanza.

"Saremo anche i peggiori genitori del mondo, ma vogliamo proteggerti, sei un ragazzo intelligente, potresti realizzarti in tanti ambiti. Perché non ci rifletti bene? Il fallimento Leonard, è brutto ma per te, sarebbe devastante"

Era la prima volta che ne parlavamo senza urlare, senza insulti, senza minacce. Solo con la cruda verità di mezzo.

Ero troppo sensibile o avevo poco carattere? Condizionato dal giudizio altrui o esigente con me stesso?

Forse ero tutto e niente, forse loro avevano ragione, forse stavo sbagliando e forse gli altri sbagliavano a dire che i sogni prima o poi si realizzavano.

Ma su una cosa mia madre aveva ragione. Non ne sarei uscito vivo da un fallimento, non io, non avrei avuto la forza necessaria per farlo.

Se quella non era la mia strada, dove sarei andato a finire?



**



Perso in quella discussione, dubbi e domande, avevo rimosso l'accaduto con Ian, almeno finché non raggiunsi l'aula per la sua lezione.

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