Capitolo 22

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Pov Yves




Ormai fuori era buio pesto, piena notte, Vincent alla guida, nessuno riusciva a chiudere occhio, Damyan ovviamente si era seduto davanti accanto a lui.

Forse cercava di mettere le distanze proprio perché gli avrei ricordato in mezzo minuto a chi apparteneva, lurido stronzo.

Leonard sbadigliò stanco morto, non dormiva da quasi quarantotto ore e quando posò la testa sulla mia spalla, gli lasciai un bacio sulla fronte.
"Austin e Vincent hanno chiarito?" mormorò assonnato, socchiudendo gli occhi.

"Hanno parlato e si sono scambiati qualche bacio ma penso che per ora possano fare solo questo, avranno tempo di parlare, fare pace per bene, scopare" elencai, ridacchiando insieme a lui, finché una sua frase non mi fece piombare nella tristezza più assoluta.

"Voi avete due persone sincere che vi amano, è una fortuna immensa" sussurrò e vidi come una silenziosa lacrima lasciò il suo occhio, per cadere sulla guancia e finire tra le mie dita.

"Leo.. Amore mio.. Vedrai che sistemeremo tutto come sempre, okay? Non sei solo" dissi, allungando le mani, per stringerlo in un abbraccio, come meglio potevo.

Non potevo mentirgli sul fatto che Ian lo amasse, non potevo illuderlo date le basi che avevamo, potevo solo stringerlo forte e aspettare con lui, che la tempesta finisse.

"Dobbiamo fare benzina" annunciò Vincent, attirando l'attenzione degli altri.

"Finalmente! Le mie bellissime gambe formicolano da ore, devo fare due passi" borbottai, sbadigliando appena.

Vincent fermò l'auto in un autogrill e tutti schizzammo fuori alla velocità delle tartarughine, dato il provvisorio blocco all'articolazione.

"Cazzo!" sbottai, camminando di alcuni passi, per poi venire colpito dall'aria gelida.
"Porca puttana che freddo!" iniziai a sfregare le braccia con entrambe le mani, saltellando come se mi trovassi sui carboni ardenti.

Osservai gli altri, decisamente meno infreddoliti di me, ovviamente con quei felponi che avevano addosso.

Sbuffai, valutando le possibilità. Se da una parte il mio corpo necessitava di calore, le mie gambe avevano bisogno di muoversi un po' o si sarebbero staccate dal resto del corpo.

Imprecai sotto voce ancora un paio di volte, mentre gli altri parlavano tra loro, poi all'improvviso qualcosa di caldo, pesante, profumato, si posò sulle mie spalle.

Trattenni il respiro, gli altri si erano zittiti e dietro di me, sentii dei passi allontanarsi.
Mi voltai solo quando non udii più le suole strisciare sull'asfalto e lo vidi, all'interno dell'autogrill, mentre si dirigeva alla cassa per pagare, addosso una maglietta bianca, niente di più.

La sua calda giacca era sulle mie spalle, intrisa del suo odore paradisiaco, lo fissavo attonito, così come forse gli altri, che non si aspettavano un gesto simile.

Il freddo e il dolore alle gambe era completamente sparito e non potei che avvolgermi nel suo calore, soffocando un sorriso, quella giacca era enorme ed io così piccolo, da poterci sguazzare dentro.

Dimenticai il mondo esterno, almeno finché il cielo non decise di far sentire la sua presenza, buttandoci addosso una pioggia di grandine improvvisa.

Corremmo come schegge, ignorando i muscoli indolenziti, per proteggerci dai cristalli taglienti come piccole lame.

Damyan ci raggiunse, fissando la propria auto, vittima della grandine e si voltò a guardarci con disappunto.
"Qualcuno di voi non poteva spostarla di qualche metro, sul parcheggio coperto?"

AtychiphobiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora