18.

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Non ho chiuso occhio tutta notte, sono di cattivo umore e non voglio né vedere né sentire nessuno.
Mi sembra di essere tornata indietro di qualche mese, quando tutto mi piombò addosso. Tutto il mio passato che si getta contro me, tutto quello che non voglio ricordare ma che mi ha segnata.
Vorrei non aver mai vissuto tutte quelle dannate disavventure. Vorrei cantare e vorrei avere un papà.
Distesa sul mio letto in un pesante sabato mattina, guardo il soffitto, pensando a quanto sarà dispiaciuto Nocciolo perché oggi non ha potuto fare lezione. Mi sono data per ammalata e non sono nemmeno andata a tenere le lezioni ai bimbi. Non ho intenzione di muovermi dalla mia camera sicuramente per tutto il giorno, poi domani si vedrà. Voglio soffocare nei pensieri afosi che ruotano nella mia camera e darmi risposte, ma sicuramente non ne avrò.
Non ho fame, non ho vita in questo momento. Voglio stare sola, in silenzio, nella mia camera, nel mio letto.
Prendo il mio quaderno e inizio a scarabocchiare qualche disegno e qualche pensiero alla rinfusa: in qualche modo dovrò buttarli fuori dal mio corpo.
Lea e Celeste continuano a scrivermi da ieri pomeriggio, ma io insisto a non rispondere tanto che ho spento il telefono per quanto il rumore fastidioso delle loro notifiche mi irritasse.
Voglio pace.
Il pomeriggio inizia a scorrere e decido di alzarmi dal letto per sedermi al pianoforte. Riprendo a suonare la melodia che ho lasciato nel cassetto per un po' di giorni. Credo che ora più che mai potrei continuare a creare qualcosa di un po' magico. Già sento che sto per creare un brano davvero potente, a differenza del precedente: romantico e forte al punto giusto.
Sono immersa nelle mie note quando qualcuno suona al campanello.
Mia mamma e mio fratello non sono in casa e decido di non andare ad aprire, non mi interessa.
Ma risuonano un'altra volta, più insistentemente.
Ed io ancora non vado ad aprire e riprendo a sfiorare i tasti della mia vecchia pianola.
Il suono del campanello mi disturba di nuovo.
Voglio solo passere da sola una giornata di merda, ma la gente fa schifo e non ha niente di meglio da fare che suonare il campanello di casa mia.
Scendo le scale, nervosissima. Apro la porta intenta a cacciare chiunque ci sia fuori. Senza prestare attenzione a chi sia, inizio ‹Levati dalle scatole, per favore. Smettila di suonare al campanello e fatti una vita, okay? Puoi andar...› alzo gli occhi.
Cazzo. Luca.
Mi guarda un po' spaventato. Certo, metto terrore in queste condizioni: capelli scompigliati, pigiama, struccata al massimo e occhiaie fino ai piedi.
Mi viene da piangere. I miei occhi sono più spaventati dei suoi e mi bruciano da impazzire.
‹Se vuoi me ne vado...› fa un passo indietro.
‹No, ti prego, rimani› lo afferro per un braccio. Probabilmente è l'unica persona che ora può restare qui con me per un poco, a prescindere dalla sua lezione che mi sono dimenticata del tutto.
Mi guarda un po' comprensivo mentre una lacrima mi scende veloce sul viso.
‹Cosa succede, Nicole?› mi chiede.
Gli faccio segno di entrare in casa. Cammino fino al divano in salotto e mi siedo; lui mi segue.
Attimi di silenzio ci percorrono e credo di aver sentito l'aria passare nei miei capelli.
Guardo il pavimento mentre un'altra lacrima scende. Inevitabilmente inizio a piangere e non mi vergogno di farlo davanti a lui e nemmeno delle condizioni in cui mi trovo adesso.
‹Nicole mi dici cos'hai, per favore?› si avvicina un po' a me.
Scuoto la testa. Non riesco a parlare quando piango o sono nervosa.
Cerco di deglutire un po' e gli dico ‹Per ora...› provo a parlare ‹Per ora basta che... che stai qui... qui vicino› appoggio la testa sopra la sua spalla. Sento il suo cuore spaventato.
‹Non ti ho mai vista così e sono preoccupato. Stai tranquilla, ti prego› mi avvolge il braccio attorno alle spalle e inizia ad accarezzarmi. Credo di avvertire piccoli brividi.
Piango liberamente e silenziosamente sulla sua spalla mentre mi nutro di una musica bellissima: il suo respirare così tranquillizzante.
‹Rilassati un po', respira profondamente. Chiudi gli occhi e... e non pensare a niente per pochi secondi› mi consiglia dolcemente.
Seguo ciò che mi ha detto e provo a smettere di piangere.
Sento la sua mano asciugarmi le lacrime e il pianto improvvisamente si placa.
‹Come va?› mi chiede ‹Va meglio?›
Alzo la testa e lo guardo sorridendogli un pochino.
‹Oggi stiamo qui seduti, la lezione può aspettare. Mi dici cos'hai e ti tranquillizzi del tutto. Posso stare quanto vuoi e raccontami tutto quello che ti passa per la mente. Io ti ascolto› mi dice.
‹Non devi...›
‹Devo›
‹Non voglio annoiarti con le mie cazzo di paranoie›
‹Parlare ti farà solo sentire meglio, non puoi tenere tutto lì dentro. Va a finire che anneghi, Nicole. Sono qui, dimmi tutto quello di cui ti vuoi liberare›
Sospiro ed inizio a raccontargli tutto quello che fin'ora non ho avuto occasione di raccontargli nemmeno per sbaglio. Gli racconto chi sono veramente, come gira ed è girata la mia vita. La musica, il canto, mio padre, i Dear Jack fino ad arrivare ad oggi: Alessio e la chiavetta.
Lui mi ascolta più attentamente di come mi avesse mai ascoltato e sembra interessato appieno.
A tratti piango e lui riesce a coprire questi secondi di sconforto con parole rassicuranti e suoi pensieri che mi incitano a riprendere di nuovo la calma e ricominciare a parlare.
Gli dico davvero tutto, non tralascio niente. Merita di sapere.
‹...e adesso c'è quella maledetta chiavetta› concludo.
‹Io... Mi dispiace, non potevo nemmeno immaginare tutto ciò›
‹Nemmeno io ho potuto›
‹Posso fare qualcosa?›
‹Già il fatto che tu mi abbia ascoltata per quasi due ore è più che sufficiente, davvero. Poi ci sei a prescindere, e a me basta questo. Grazie, grazie di cuore Luca›
‹Lo faccio con piacere. Tengo a te›
Gli sorrido. Credo che sia una delle cose migliori che mi si potessero dire in questo istante.
‹Cosa devo fare ora? Ascoltare o no la chiavetta?› gli chiedo.
‹Se ti spaventa, lo possiamo fare insieme› mi propone.
Vado in camera mia a prendere computer e chiavetta e torno da Luca.
‹Okay› apro la cartella delle cover sul dispositivo ‹Scegline una›
Inizio a scorrere la lista delle canzoni nell'attesa che lui decida.
‹Questa› indica "A thoudand years" di Christina Perri.
Sospiro, mi avvicino ancora di più a lui per sentirmi al riparo e nell'istante in cui premo play chiudo anche gli occhi. Non voglio piangere.
Alessio ha ragione: avevo una voce da far paura e mi manca davvero davvero tanto. Quasi mi mette i brividi. Voglio ritornare in quegli anni.
Stanno accadendo cose strane dentro me in questo momento e sento una malinconia assurda che mi sta solamente logorando di più.
‹Wow, Nicole. È la tua voce?› mi domanda Luca appena finito il brano.
Annuisco aprendo lentamente gli occhi.
‹Caspita. È pazzesca. Hai una delicatezza immensa. Un angelo› esprime il suo pensiero. Sembra toccato, addirittura commosso.
‹Ciò che hai appena detto...› penso ad alta voce ‹mi rende felice e, allo stesso tempo, invidiosa di quello che ero e ora non posso essere›
‹Non dire così...›
‹Luca, è la verità›
‹Tutto migliora›
‹Non per me›
Tace per qualche secondo e poi riprende ‹Ora dici così perché stai vedendo tutto nero›
‹Lo avrei detto in qualunque circostanza› stacco la chiavetta e chiudo il computer ‹Domani vado in studio e la faccio finita. Dico ad Ale che va bene così, per me›
‹Nicole, per piacere, riflettici›
‹Ci ho riflettuto abbastanza e non voglio più avere niente a che fare con tutto ciò›
Lui prova a dirmi qualcos'altro, ma è inutile. Ho preso una decisione e non mi scrollo.
‹Luca, davvero, se mi vuoi bene, basta. Sono al limite› lo supplico ‹E ti ringrazio ancora tantissimo, sei stato fondamentale oggi, a prescindere dalla mia decisione e da me stessa. Seriamente, mi sento meglio›
‹Sono felice di averti tirata un po' su›
‹Per favore, fermati stasera a mangiare, tanto è quasi ora di cena. Tra qualche minuto dovrebbero rientrare mia mamma e...› merda, Federico ‹e mio fratello. È un rompi palle, non dargli corda›
‹Sicura non do' disturbo?›
‹Assolutamente no. Rimani?›
‹Con piacere›

«Prendi quel microfono e canta» // Alessio Bernabei [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora