Un inizio come tanti

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La vita di un mezzosangue è come la lama di un coltello: si divide in due parti, impossibili da guardare contemporaneamente.
Prima e Dopo.
Tranquillità e Tensione.
Sicurezza e Paura.
Il cambiamento avrà luogo, senza darti la possibilità di fermarlo.
E a quel punto sarà la tua capacità di adattamento a determinare se sopravvivrai o meno.

•••

La luce del sole stava già inondando la camera quando mi svegliai in quella mattina, che ebbe inizio come tutte le altre.

Mi sporsi per guardare la sveglia sul comodino, che, come al solito, stava suonando, diffondendo energia negativa sotto forma di squilli. Erano le 8:30. Le 8:30 di una domenica mattina di sole a San Francisco.

Scesi la scaletta a pioli del letto a castello e spensi la sveglia. Inspirai la pace e il silenzio a pieni polmoni, mentre il mio cervello dava il via ad una girandola di pensieri, utili soltanto a cercare di svegliarmi.

Voltandomi verso il letto più in basso, fui sorpreso di non incontrare le iridi marroni di Michael: al posto dei suoi occhi, vidi solo una coperta tirata fin sopra le spalle.
Il messaggio era ovvio: "il mio più grande sogno è dormire".

«Michael!» chiamai, ma il nome del mio migliore amico risuonò nella stanza senza alcuna risposta.

Alzai gli occhi al cielo, con un mezzo sorriso ad incresparmi le labbra, e cominciai a scuoterlo.
«Alzati, orso in letargo!»

L'orso si girò sul fianco e mi lanciò un'occhiata tagliente. Se fu la risposta per l'appellativo o per la sveglia non riuscii a capirlo.
«Buongiorno, Gabriel»
biascicò, con voce impastata, arricchendo la frase con uno sbadiglio.

Gli risposi immediatamente. In quel poco tempo, avevo cominciato a fare altre cose in giro per la stanza, come sistemare oggetti sparsi, tirare fuori vestiti e spostare libri, tutte azioni perfettamente normali per una persona iperattiva.

Sentii alcune ossa scrocchiare quando i piedi di Michael raggiunsero le fredde mattonelle del pavimento.

«Sarà meglio darci una mossa» disse, mentre si passava una mano tra i capelli corvini.
«Parla quello che non ha neanche sentito la sveglia!»
«Tanto l'hai sentita tu, che problema c'è?» ribatté lui, prendendo i vestiti da sopra il tavolo.
«Nessun problema, mister Udito Sopraffino, nessun problema.»

Scoppiammo a ridere, poi finii di cambiarmi e mi guardai allo specchietto che avevamo in camera.
Un ragazzino con i capelli neri e gli occhi verdi sorrideva dallo specchio, con le labbra piegate in un ghigno divertito, l'ombra della risata di poco prima.

Mi vestii rapidamente, grato del calore che gli indumenti rilasciavano al contatto col mio corpo, per quanto vecchi e consumati fossero.

All'orfanotrofio, dove vivevo, non potevano permettersi di comprare vestiti nuovi per ogni ragazzo, per cui l'arte del passaggio di abiti era diventata sacra da tempo immemore.

«Pronto?» chiesi a Michael, poco dopo.
Attraversò la stanza in poche falcate, raggiunse la scrivania e afferrò un piccolo oggetto color bronzo: un crocefisso, simbolo della religione dell'orfanotrofio, gentilmente offerto ad ogni nuovo abitante di quelle mura con l'obbligo di portarlo sempre.
Secondo le suore, portarlo ci avrebbe aiutato e protetto.

Sulla protezione non saprei, ma portarlo ci aiuta sicuramente a non prendere una punizione da loro, pensai, alzando mentalmente gli occhi al cielo.

Michael lo indossò.

Oltre al crocefisso, portavo al collo una catenina con un anello. Era l'unico ricordo che avevo dei miei genitori, di cui non ricordavo niente.
L'anello era semplice: di color bronzo con un motivo geometrico. Tenevo molto a quell'anello, non lo toglievo mai, neanche quando dormivo.
Non volevo che nessuno me lo portasse via. Non avevo avuto i miei genitori, il massimo che avevo e potevo avere era quel piccolo oggetto.

Io e Michael uscimmo dalla stanza e ci incamminammo verso la mensa.

Pensavo che fosse una domenica mattina come le altre.
Mi sbagliavo.
Cavoli, se mi sbagliavo.

Non sapevo ancora che tutto il mio mondo sarebbe andato in pezzi, esattamente come potrebbe andare in pezzi una lastra di ghiaccio.
Una lastra di ghiaccio non può essere ricomposta, perché i pezzi si sciolgono e spariscono per sempre.

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