Il fuggitivo

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Prendere iniziative affrettate non è sempre sbagliato. Alle volte, ciò che scegliamo di getto rappresenta quello che desideriamo davvero.

•••

L'autobus partì con un rumore non molto rassicurante, quasi sinistro, e il motore mandava fischi sospetti.

C'era da aspettarselo, visto il costo del biglietto.

La domanda era se il mezzo di trasporto in cui mi ero, come dire, rifugiato, sarebbe riuscito ad arrivare a destinazione.
Per fortuna, la speranza è sempre l'ultima a morire.

Tanto per incorniciare la scena, la radio trasmetteva delle canzoni incredibilmente brutte, la maggior parte delle quali perfettamente sconosciute.
Evidentemente, cambiare stazione era fuori discussione, forse a causa del vecchio autobus.

Sporgendomi verso il sedile a destra, osservai i passeggeri dell'altro lato del pullman.

Due bambini che facevano un chiasso infernale. Si somigliavano molto, anche se uno sembrava più grande dell'altro.
Entrambi con i capelli biondi corti, la carnagione chiara, e gli stessi occhi verde-azzurro.

Il più grande si sarebbe potuto definire esile, non fosse stato per braccia e gambe lunghe.

L'altro, che a prima vista sembrava la copia del fratello in scala ridotta, era di corporatura più robusta, e già a quell'età si poteva capire che avrebbe sviluppato una muscolatura maggiore e che sarebbe rimasto più basso.

Giocavano come fanno tutti i bambini, ma, in quel momento, pensai che dessero una noia assurda. Lo stress si faceva sentire.

Un paio di passeggeri stava cercando di dormire, altri due, un ragazzo e una ragazza, ascoltavano musica, sicuramente più decente di quella della radio, dal cellulare, con degli auricolari.
Una ragazza di circa vent'anni leggeva un libro di cui non riuscii a capire il titolo, a causa della mia dislessia.
Alcune persone guardavano con espressioni concentrate lo schermo del loro smartphone, come se non ci fosse niente di più importante al mondo.
Altri, come me, osservavano i compagni di viaggio o guardavano fuori dal finestrino.

Se non mi fossi trovato in una situazione simile, sarebbe stato divertente seguire gli sguardi dei passeggeri per capire cosa stessero guardando e cercare di indovinare i loro pensieri. In quei minuti, però, avrei voluto conoscere solo quelli della donna con gli occhiali.

Da quando ero salito sull'autobus, non aveva smesso nemmeno per un secondo di lanciarmi un'occhiata dietro l'altra da dietro gli occhiali ovali, che sembravano le lenti di un binocolo.
Cercai di distrarmi guardando fuori dal finestrino.

Alberi, cespugli e case facevano da sfondo all'autostrada.
Ogni nota del paesaggio correva via come il vento davanti ai miei occhi: tutto era sfuggente e intoccabile.
Beh, considerando la velocità del pullman, non proprio come il vento, però abbastanza rapidamente.

Me ne stavo andando da San Francisco, sarei stato al riparo da qualunque cosa.

Eppure, non ero tranquillo.
Avevo come la sensazione di non essere al sicuro, come se ci fosse qualcosa di maligno vicino a me.
Ero terribilmente ansioso, avevo il corpo teso e le orecchie pronte a captare ogni singolo rumore. Non mi era mai successa prima una cosa simile. Ero all'erta, pronto a respingere qualunque attacco.
Ma chi mai avrebbe dovuto attaccarmi?

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