Sogni

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Nei mortali, spesso i sogni sono proiezioni di desideri nascosti nei recessi dell'anima del sognatore.
Nei semidei, spesso i sogni sono proiezioni di incubi.

•••

Mi trovavo in un terreno all'aperto.

Girando la testa, vidi una gentile brezza accarezzare le chiome degli alberi della foresta che avevo alle spalle.

Tornai a guardare dritto davanti a me.

C'erano delle capanne, tutte allineate in quella che sembrava una specie di U.  Ne contai dodici, tutte diverse tra loro, se non per la dimensione, comune a tutte. Una aveva pareti di pietra grigia, tempestate di conchiglie e coralli di ogni genere, un'altra era colorata di rosso e con una testa animale sopra, che sembrava incutere timore. Ma l'oggetto che dava un disagio crescente era una civetta con occhi del colore della pece, freddi e illuminati da un'aura intelligente, che svettava solitaria sopra una soglia.

Camminai con la sensazioni di trovarmi all'interno di una bolla. Attraversai verdi prati e superai un torrente, fino a raggiungere una grande casa, più grande delle capanne che avevo visto prima, di un colore azzurro intenso quanto il cielo. Le sue dimensioni erano incredibili: mi sovrastava.

Rimasi per un po' a fissare l'abitazione, poi tornai indietro, raggiungendo la spiaggia dietro alle capanne che avevo visto in precedenza.

Ero come senza peso, non provavo dolore e seguivo come un istinto che mi invitava ad andare in una certa direzione.

La sabbia era morbida e scintillava, colpita dal sole. Col rumore ritmico della risacca a circondarmi, mossi i piedi tra i granelli, osservando le orme che lasciavo. Mi accorsi di essere a piedi nudi, ma la notizia non mi sorprese. Scrutai la superficie dell'acqua limpida, e la risalii per raggiungere la linea dell'orizzonte, in cui, secondo i miei occhi, il cielo e il mare si incrociavano, quasi confondendosi fra loro.

Riuscii a catturare qualche dettaglio in quel mondo etereo, come un piccolo yatch con la scritta "Circolo Nautico di Long Island" a caratteri rossi su sfondo bianco che scivolava silenziosamentenella distesa, e i grandi grattacieli in lontananza, pieni di così tante finestre da sembrare file e file di occhi.

Il sogno mi condusse altrove.

Quella volta mi trovavo in un luogo che conoscevo bene: l'orfanotrofio. Ero in uno dei corridoi che portavano alle camere. Spinto dall'istinto, mi diressi verso la mia stanza, senza sentire lo scalpiccio dei miei passi, e facendo scorrere due dita della mano sul muro ruvido. Non vi erano presenze, campeggiavano il vuoto e il buio, e aleggiava una sensazione di tristezza che mi attaccò, come se ogni cosa fosse in lutto.

La porta della mia stanza era aperta, e risuonavano due voci, una maschile e l'altra femminile. Una era quella di Suor Cristina, ma la voce maschile mi rimase impossibile da identificare. Raggiunsi l'entrata della stanza e ne varcai la soglia, lentamente.

Ero consapevole di non poter essere visto o sentito, e ne ebbi la conferma quando nessuno fece caso all'entrata di un ormai probabile ricercato.

«... non sappiamo dove possa essere! E l'altro ragazzo è... è...» la suora non riuscì a terminare la frase e scoppiò in singhiozzi.

L'uomo, un misto di preoccupazione, dispiacere e determinazione negli occhi, stava controllando la stanza. Il suo sguardo si posò sul crocefisso disteso sopra la coperta rossa del letto più in basso, e una mano volò tra i capelli inum gesto pensieroso.
«È del ragazzo?»
«Io... non lo so... abbiamo molti crocifissi in tutto l'orfanotrofio... ce ne sono alcuni di riserva in alcune camere...»
«Allora sarà la scientifica a parlare.»

Il sogno sembrò restringersi su sé stesso, soffocandomi.

Questa volta mi trovavo in una stanza calda e soffocante, che non avevo mai visto prima di allora. C'erano macchine, pezzi e oggetti ovunque, i tavoli erano costellati di attrezzi, e un colore rosso caldo si diffondeva per la stanza insieme al calore. Ingranaggi e congegni di ogni genere erano sparsi ovunque, in modo simile alla stanza dei giochi di un bambino.

In fondo alla stanza c'era un ragazzo.
Riuscivo a vederlo solo di spalle. Era robusto, con spalle larghe e capelli neri, illuminati di rosso, come il resto della stanza. Piccole perle di sudore si formavano sul suo collo e alla base dei capelli, e la maglia chiara era chiazzata da macchie scure in vari punti. Stava armeggiando con degli utensili da fabbro.
Tolse dalla fucina la sagoma di una spada incandescente, tenendola con delle pinze.

La levò per un attimo sopra la testa e la osservò, dopodiché la abbassò per immergerla in un grande catino di acqua. Al contatto con il liquido, il metallo si raffreddò, rilasciando una piccola nuvola.
Il vapore avvolse il ragazzo.

Mi guardai nuovamente intorno.
Diverse armi, suddivise per tipo, erano appese alle pareti. Da una parte tutte le spade di un genere, da un'altra i pugnali, da un'altra ancora le lance e così via.

In un angolo c'erano, invece, armi di tutti i generi appese apparentemente alla rinfusa. Si distinguevano da tutte le altre perché sembravano, per così dire, normali. La quasi totalità degli altri oggetti, al contrario, emanava un piccolo luccichio, quasi come a sottolineare la differenza di qualità, o di qualcos'altro, tra questi e quelli che si trovavano nell'angolo. Sembravano quasi una cappella speciale, distinta dalle altre, immersa nel buio, mentre il resto risplendeva a lume di candela.

Il vapore si era quasi diradato, e distinsi la sagoma del ragazzo che si voltava.

E il sogno cambiò per l'ultima volta.

Cronache di un MezzosangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora