0. Prologo

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L'attenzione di Vladimir fu catturata da un profumo che credeva non avrebbe sentito mai più. Erano passati secoli dall'ultima volta che lo aveva assaporato. Si mosse tra la folla di gente che si trovava sul treno fin quando non individuò la persona che lo emanava.

Lei era li, in piedi con la testa china e i capelli castani che si dividevano lasciando il collo scoperto. Poteva vedere solo la sua schiena, ma era abbastanza.

Si avvicinò piano, come se lei potesse essere una visione e sparire da un momento all'altro.

Da anni beveva e dissanguava innumerevoli vittime, abbandonando i corpi nelle campagne sperdute intorno a Roma. Avevano buoni odori. Ma nessuno aveva il suo.

Non era la sua pelle a profumare, ma il suo sangue. Un profumo inebriante, che lo incantava come una magia potente e gli toglieva la ragione.

La raggiunse, arrivò talmente tanto vicino da sfiorare la schiena di lei col suo corpo. La ragazza lo sentì e si scostò appena, probabilmente consapevole che quando si è in treno certe cose possono capitare. In fin dei conti c'era la calca di gente intorno a loro, anche se Vladimir non li vedeva più.

Non si accorse di aver saltato la sua fermata, rimanendo lì, semplicemente ad osservare il collo di lei, chiaro e liscio, che lo invitava a mordere. Gli costò un enorme sforzo resistere a quella brama di sangue. Persino i suoi canini erano spuntati, pulsando. Si riprese, conscio che qualcuno potesse vederlo in quelle condizioni. Per sua fortuna non era accaduto, o sarebbe stato di certo un problema.

Quando lei arrivò alla sua fermata e scese, lui non poté fare altro che seguirla, come se una catena invisibile lo legasse a lei. Non cacciava mai di giorno, ma il sangue di quella ragazza cantava come nessuna preda aveva fatto fino a quel momento. Stava cacciando, quindi? Non riusciva a capire il motivo per cui la seguiva. Voleva nutrirsene o solo capire chi fosse?

Avrebbe dovuto deciderlo in fretta. Se l'avesse seguita ovunque lei volesse andare, prima o poi si sarebbe accorta di lui, e a quel punto avrebbe gridato magari.

Stavano percorrendo il corridoio buio che portava fuori dalla stazione. Più avanti si accorse che la porta degli inservienti era aperta, e lui sapeva che era vuota. Non sentiva nulla provenire da lì dentro, nessun battito o respiro.

Per prima cosa, decise che l'avrebbe attirata li. Poi avrebbe deciso il da farsi.

Quando si trovarono davanti alla porta, con velocità innaturale, afferrò la ragazza, portandole una mano alla bocca, e si precipitò all'interno della stanza, richiudendo la porta subito dietro di loro.

Sentiva il terrore di lei pervadere la piccola stanza in penombra, illuminata solo da una piccola finestra alta che dava in strada.

La ragazza si dimenava, provando a liberarsi, ma non aveva importanza, lui era più forte di chiunque lei avesse mai conosciuto. Non poteva liberarsi.

Col peso del suo corpo immobilizzò la giovane, che aveva le lacrime agli occhi, spaventata ormai a morte. Sotto le sue mani forti sembrava un uccellino impaurito, con il battito accelerato e gli occhi spauriti.

Con la mano che ancora le bloccava la bocca, Vladimir si avvicinò al suo volto per annusarla, sotto lo sguardo scioccato di lei. Assaporò il profumo che rilasciava intorno a lei. Ormai doveva averlo scambiato per un maniaco, ma poco gli importava.

La guardò dritta nei suoi occhi, così particolari: uno celeste e uno nocciola intarsiato di verde. Lentamente diede il via al processo di compulsione.

«Ora io leverò la mano dalla tua bocca e tu non griderai, non scapperai e non avrai paura di me.»

Le pupille si dilatarono e si restrinsero, per poi dilatarsi di nuovo, segno che la compulsione era avvenuta. Annuì lentamente, come drogata.

Vladimir tolse lentamente la mano, osservandola con più attenzione. Era così bella, che ucciderla sarebbe stato un vero peccato.

Aveva i capelli castano chiaro, dai riflessi ramati, le labbra carnose e il naso piccolo e dritto, coperto da qualche lentiggine appena, che finivano sulle guance rosate.

Aveva i capelli mossi e spettinati, indisciplinati, come gli occhi che non erano venuti dello stesso colore. Si chiese se il suo carattere fosse indisciplinato tanto quanto il suo aspetto.

«Come ti chiami?»

Gli chiese. Non gli era mai successo di farlo con nessuna delle sue vittime, e non sapeva perché con lei tutto stava procedendo nel modo sbagliato. Avrebbe dovuto scappare e lasciarla lì. Lei stava mettendo a rischio tutto quello per cui aveva lottato nel corso dei secoli, la sua libertà e quella di tutti i Vampiri.

«Luna...»

La ragazza rispose con voce flebile. Vladimir ripeté il suo nome, sussurrandolo appena, quasi sfiorandole le labbra e sentendo il proprio respiro finire sulla pelle di lei.

Se avesse continuato così sarebbe impazzito.

Si accorse di desiderarla e se il buon senso non lo avesse frenato, probabilmente l'avrebbe posseduta lì e subito.

Si limitò a giocare un po' con lei, spostò i capelli dal suo collo, sfiorandole la pelle con un dito. La sentì gemere. Quella dannata ragazza invece di avere paura, stava al suo gioco. Subito dopo averlo pensato si diede dell'idiota; era stato proprio lui a dirle di non averne.

Chiuse la mano sferrando un pugno alla parete dietro di lei, bucando il muro di cemento. Maledetta ragazza.

Le sbottonò la camicetta bianca smanicata, scoprendole il seno, tenuto su da un reggiseno a balconcino rosso, ricamato con merletti trasparenti. Dovette combattere contro l'impulso di toccarla. I rapporti tra umani e vampiri erano severamente vietati, sarebbero morti entrambi, e lui non voleva di certo perdere la vita per una stupida umana.

«Questo ti farà male, dolce piccola Luna, ma tu non griderai e non farai un fiato, sarai brava.»

Di nuovo la ragazza annuì, e lui non indugiò oltre. Aveva bisogno di quel sangue che lo chiamava come un antico incantesimo. Solo un sorso, non voleva ucciderla, ma doveva assaggiarlo.

Avvicinò la sua bocca al collo di lei, accarezzandole la pelle con le labbra. I canini uscirono in automatico, e sentiva le gengive intorno pulsare come se fossero infette. Affondò lentamente i denti nella sua vena, godendo di ogni singolo millimetro che sprofondava nella sua carne. Quando il sangue fluì nella sua bocca, gli sembrò di bere la leggendaria Ambrosia degli antichi Dei.

Fermarsi gli costò una fatica immane. Ma doveva farlo, o quella sarebbe diventata un'altra delle sue vittime. E non aveva intenzione di ucciderla. Non lei. Doveva prima scoprire chi fosse.

Si staccò riluttante, osservando i due piccoli fori che aveva lasciato sul suo collo. Era davvero un maestro a riguardo. Sapeva esattamente come e dove mordere per far si che la sua preda non si dissanguasse a meno che non fosse lui a volerlo, evitando di far fuoriuscire il sangue copiosamente.

Si punse un dito con un canino e sparse qualche goccia del suo sangue sulle piccole ferite. Non sarebbe stato abbastanza per trasformarla, ma entro la mattina seguente non avrebbe riportato nemmeno una cicatrice del suo morso.

Afferrò Luna per le spalle e la guardò ancora negli occhi. Era arrivato il momento di lasciarla andare.

«Torna sui tuoi passi, vai ovunque tu fossi diretta, ma dimenticati di me. Non ci siamo mai visti, e tutti questo non è mai avvenuto»

La ragazza annuì ancora lentamente, poi si richiuse la camicetta e si allontanò, uscendo dal ripostiglio.

Non l'avrebbe persa di vista, deciso a scoprire chi fosse veramente.

Il Richiamo Del SangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora