8. Prigioniera

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Casa di Vladimir era una casa... maschile. Si, ecco questa era la definizione giusta. Il minimo indispensabile. In tutti i romanzi di vampiri che si rispettino, il bello e dannato aveva sempre tanti soldi, case lussuose. Lui viveva in un piccolo monolocale, la cucina era scarna, priva di utensili, come se non cucinasse mai in vita sua. E a pensarci bene, doveva essere proprio così. Un piccolo tavolino richiudibile era poggiato sotto una finestra. Una parete attrezzata divideva la grande stanza in due, e dall'altra parte c'era un divano, o un letto, non riuscivo a capire. Un divano circolare, credo, per via dei cuscini che facevano da spalliera, grande come un letto, di colore grigio. Niente coperte. Un televisore piatto di fronte al divano-letto e la porta del bagno subito dopo.

Un solo letto. Questo mi sconvolse quando entrai. Lui mi aveva aperto la porta, e mi aveva dato la precedenza, come fa un cavaliere, un uomo di altri tempi, ed io mi ero fermata. Lui era rimasto a guardarmi mentre non mi decidevo a muovermi, fin quando non mi aveva spinta leggermente con la mano dietro la mia schiena. Allora mi mossi. Ma rimasi immobile al centro della cucina, senza sapere dove poggiarmi. Non sarei mai, mai andata a sedermi sul letto. Mai. La mia mente non riusciva proprio a pensare ad una cosa del genere.

E non perché non volessi. Altroché se lo volevo. Era proprio quello il problema, non ero certa di sapermi fermare, ed io volevo fermarmi, dovevo fermarmi. Lui era un Vampiro, non potevo accettarlo. Era come tutti loro, come Marco, che non avrebbe esitato ad uccidermi se lui non mi avesse salvata.

«Puoi sederti, il letto non morde.»

«No, grazie sto bene così...»

Sparì dentro la porta del bagno, senza rispondermi. Trafficò con qualcosa, poi uscì, portando delle lenzuola piegate.

«Dormi come i cavalli?»

Non risposi, era inutile. Aveva già deciso per me, cosa potevo fare? Fuggire? E dove sarei andata? Mi spostai verso la finestra, sbirciando attraverso le grate della persiana, con la mano poggiata sul davanzale. L'aria della notte iniziava ad essere più fredda a Settembre, anche vivendo in una grande città. Forse perché eravamo all'ultimo piano di un palazzo.

«Se hai freddo puoi chiudere la finestra.»

Mi voltai, sobbalzando. Avevo iniziato a perdermi nei miei pensieri e la sua voce mi riportò alla realtà. Non potevamo continuare in quel modo, lui non avrebbe smesso di parlarmi. Era fatto così, gli piaceva provocare, e continuava fin quando non l'aveva vinta lui.

«Tu non senti freddo?»

La mia domanda lo stupì, perché si voltò verso di me, interrompendo quel che stava facendo in quel momento. Mi guardò per alcuni secondi, sollevando impercettibilmente un sopracciglio.

«No.»

Certo, risposta secca. Una di quelle che ti costringeva a fare la prossima mossa, avrei dovuto aspettarmelo. Sospirai, chiudendo gli occhi. Dovevo affrontare una notte nel suo appartamento, e lui non mi avrebbe mai lasciata in pace fin quando non avesse finito il discorso iniziato nella sua macchina. Mi avvicinai lentamente, sorpassando la parete attrezzata. Lui era impegnato a preparare il letto.

Il Richiamo Del SangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora