7. Salvami

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M

i risvegliai senza poter vedere il luogo in cui stavo. Era umido, e freddo, ma una benda pesante mi copriva gli occhi, impedendomi di vedere. Ero stesa sul fianco destro, potevo sentire la pietra fredda e bagnata sotto la mia pelle. Se solo avessi indossato qualcosa di più pesante. Già, probabilmente si sarebbe inzuppato e avrei sentito ancora più freddo. Anche i capelli erano bagnati. Le mie mani erano legate con una corda che mi stringeva la pelle, dietro la schiena. Se provavo a muovere le mani mi graffiavo. Anche i piedi erano legati. Avevano davvero paura che potessi scappare.

Poi ricordai. In che modo sarei potuta fuggire? Quell'essere doveva essere molto più forte di me, se avevo imparato qualcosa dalle leggende e da tutti i libri a riguardo che avevo letto. Almeno su una cosa le storie di Vampiri avevano ragione: erano veloci ed incredibilmente forti. Si sbagliavano solo sulla loro natura, predatori erano e predatori restavano. Anzi, prima di perdere i sensi, avevo davvero creduto che sarei morta. Invece non lo ero. Non sapevo nemmeno se si era nutrito di me, ma non sentivo dolore al collo.

La stanza in cui mi trovavo doveva essere piccola, e la porta doveva trovarsi poco distante da me. Udii del trambusto, persone che urlavano fuori, rumore di legno che si rompeva. Avevo paura, non sapevo dove mi trovato e soprattutto sapevo che probabilmente ero l'unica umana.

Poi riconobbi una voce, oppure era la mia testa che mi giocava brutti scherzi. Da lontano potevo sentire la voce di Vladimir, infuriato, che gridava, ma non riuscivo a capire cosa dicesse. E un'altra voce che gli rispondeva, mi sembrava quella di Marco. Non capivo nulla di quello che si dicevano, poi compresi il motivo. Parlavano un'altra lingua, sembrava latino. o Greco. Non sapevo in realtà, non ho fatto il liceo classico.

Poi la porta della stanzetta in cui ero chiusa, si aprì di colpo, spostando l'aria violentemente e cigolando. L'aria che entrò aveva un buon odore, in confronto all'aria che sapeva di muffa che avevo respirato fino a quel momento. Sentii dei passi avvicinarsi, avevo ragione a pensare che fosse una stanzetta piccola, perché ne udii solo tre. Poi una mano mi sollevò di peso, come se fossi un foglio di carta, senza sforzo, tirandomi su per la corda che stringeva i miei polsi, e poi mi issò sulle sue spalle.

Non sentii voci, solo il dondolio di quando vieni trasportato come se fossi un sacco di patate. Camminammo per alcuni minuti, immaginai che fosse un lungo corridoio, buio, con poca illuminazione, perché da sotto la benda non potevo vedere niente. Poi ci fermammo, e venni lasciata cadere a terra pesantemente, atterrando sui miei glutei. Provai dolore sull'osso sacro, un dolore che mi arrivò alla testa. Strinsi i denti e gemetti.

«Quindi, ricordami per quale motivo devo liberarla?»

Era la voce di Marco, e non era più cordiale ed amichevole, come quando flirtava con mia sorella. Se fossi tornata a casa, avrei preso il cellulare di Aurora e lo avrei distrutto, così non avrebbe più avuto il suo numero. Rabbrividii al pensiero che Marco potesse avvicinarsi a lei.

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