10. Accettazione

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Vladimir se ne era andato, dopo essersi trasformato in quell'essere spaventoso che nemmeno avrei saputo definire. Ed io mi ero precipitata sul letto, decisa a dormire. Ma il sonno non era mai arrivato. Mi ero rigirata più volte, spostando le lenzuola pesanti che mi aveva dato, senza riuscire nemmeno a piangere.

La mia vita improvvisamente era sprofondata in un baratro.

Ero rimasta da sola per parecchie ore, il sole era sorto e si era alzato nel cielo, e il mio telefonino era ancora spento. Se qualcuno avesse voluto rintracciarmi, non avrebbe potuto. Certo, Vladimir aveva avvertito tutti a casa che sarei andata a dormire da lui. Magari chissà quali idee si erano fatti.

Quando fossi riuscita a ritornare a casa, avrei dovuto affrontare le loro occhiate maliziose, senza potergli dire che avevo passato le ore più brutte della mia vita.

Vladimir tornò dopo molte ore, lo vidi rientrare con parecchie buste, molte più di quante una persona sarebbe riuscita a portarne. Lui le aveva portate su tutte insieme. Intravidi i suoi movimenti attraverso gli scaffali vuoti della parete attrezzata, stava riempiendo il frigo che fino a poche ore prima era vuoto.

Ma quelle buste non potevano essere tutte di cibo, lui non mangiava ed io non mangiavo così tanto. Rimasi immobile, indecisa se alzarmi e avvicinarmi o continuare a rimanere lì. In quel momento sembrava il Vladimir di sempre, ma sapevo cosa nascondeva sotto la sua pelle.

Decisi di rimanere immobile. Non avevo coraggio di alzarmi, e soprattutto avevo paura che mi si rivoltasse contro di nuovo.

Una volta finito di sistemare il frigorifero, prese le buste rimanenti e venne da me. Senza guardarmi in faccia, le adagiò ai piedi del letto, suscitando la mia curiosità.

«Qui ci sono dei vestiti, ho cercato di indovinare la tua taglia. E delle scarpe, credo possano andarti. Se non ti stanno le andiamo a cambiare.»

Non sapevo come reagire. Me ne stavo li, seduta a gambe incrociate, a guardare le buste accatastate. Non credevo di avere bisogno di tutti quei vestiti, soprattutto perché a casa mia ne avevo un armadio pieno.

«Non mi servono grazie, a casa ne ho tanti.»

Dissi fredda, senza lasciar trasparire il marasma di emozioni che si muoveva dentro di me. Erano talmente tante e talmente forti che avrei potuto far esplodere l'intero palazzo se avessi potuto. Non avevo avuto il coraggio di alzare gli occhi verso di lui, ero rimasta a guardare quella montagna di roba di fronte a me.

«Non tornerai a casa tua. Almeno non ora...»

Freddo.

La mia anima si era gelata nell'istante stesso in cui avevo udito quelle parole. Non sarei tornata a casa. Le ripetevo mentalmente, cercando di capire se fossero vere, se nel frattempo cambiassero significato. Ma non era così. Il silenzio era calato, così rumoroso tra di noi da schiacciarmi il cuore. Sapevo che lui poteva capire come mi sentivo, perché era in grado di ascoltare il cambiamento dei battiti del mio cuore, dello scorrermi del sangue nelle vene.

Il Richiamo Del SangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora