Per gran parte del viaggio rimasi con la testa poggiata al finestrino. Guardavo fuori, completamente stremata dal dolore che provavo, e dal mio riflesso sul vetro, potevo vedere i miei occhi rossi e gonfi. Ogni tanto Vladimir parlava, ma io non staccavo la testa dal finestrino. Cercava in tutti i modi di riallacciare qualcosa con me, ma io lo ignoravo. Le mie braccia erano incrociate, come se volessi abbracciare il mio cuore e curarlo da sola.
Iniziò raccontandomi della macchina. Già, la macchina. Nemmeno mi ero posta il problema dal momento che ormai non ne fregava proprio nulla, ma lui era convinto che in qualche modo potesse importarmi. Credevo avesse capito quello che gli avevo detto poco prima: mi ritenevo una prigioniera e pertanto, tutto quello che avrebbe fatto era affar suo. Io ero in balia delle sue scelte per portarmi lontano da tutto quello che mi rimaneva.
Però, anche se non avevo mostrato il minimo interesse per l'auto in cui viaggiavamo, lui continuò ugualmente. Si era assicurato che il precedente proprietario non avesse problemi economici, in modo tale che rimanere senza macchina non fosse un problema. Aveva soggiogato un tizio che alloggiava nel nostro stesso albergo, e lo aveva interrogato sulla sua vita e la sua carriera. Un uomo d'affari che tra le altre macchine possedeva una Porsche, che non utilizzava mai. E progettava di acquistare una Ferrari. Un riccone insomma, che aveva convinto a regalargli quella macchina, con tanto di foglio controfirmato da entrambe le parti. E ovviamente aveva utilizzato uno dei tanti documenti falsi, tanto per non farsi rintracciare da Marcus. E in cambio, aveva lasciato a quell'uomo un po' di contanti, che tradotto nel suo metro di quantità equivaleva a qualche migliaio di euro. Un uomo d'onore, come sempre.
Aveva raccontato il tutto come se in qualche modo sapesse che non avrei approvato quel comportamento, ma io non commentai neanche. Lui ogni tanto mi lanciava occhiate dallo specchietto retrovisore, per vedere le mie reazioni, ma non ne avevo. Il mio sguardo era totalmente perso.
Il tunnel in cui ci eravamo fermati a parlare era davvero molto lungo, non so quanto rimanemmo li dentro, ma subito fuori eravamo già oltre i confini italiani. Non riuscivo a capire dove ci trovavamo, se in Svizzera oppure in Austria, ma nemmeno mi interessava troppo. Quello che era davvero importante era che le indicazioni erano in tedesco, tutte le indicazioni, e per me era una lingua sconosciuta.
Quando iniziò ad albeggiare, ci fermammo in una specie di fast food, o autogrill, per fare colazione. Dal momento che non sapevo come comunicare con il ragazzo dietro il bancone, ordinò Vladimir per me. Una fetta di torta, e un latte e caffè. Del caffè non ne ero certa, sapevo che non sarebbe stato di qualità o almeno non di quella a cui ero abituata. Ma avrei dovuto adattarmi.
Mi ritrovai seduta su un divanetto, con due vampiri di fronte a me che mi guardavano mangiare. Loro non ne avevano bisogno o quanto meno, non di cibo umano. Pur di non guardarli, focalizzai la mia attenzione sullo schermo appeso al muro. Un notiziario in tedesco dava le notizie di cronaca, e io mi limitavo a guardare le immagini. Non distolsi lo sguardo nemmeno per un secondo. Poco dopo la mia attenzione divenne reale. Il notiziario aveva mandato a tutto schermo un disegno che ritraeva una ragazza molto simile a me. Anzi, oserei dire, identica. L'immagine non era colorata a differenza degli occhi, che erano di due colori diversi, con gli stessi dei miei. Impallidii, e Vladimir che se ne accorse, si voltò. Solo allora mi permisi di guardarlo, forse perché sentivo la paura muoversi in fondo al mio stomaco. Anche lui si irrigidì. E la cosa non mi aiutò affatto. Se lui era teso, io dovevo essere terrorizzata.
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Il Richiamo Del Sangue
VampireCopertina e banner a cura di @skadegladje Luna non sa ancora che la sua vita sta per essere stravolta da uno dei peggiori Vampiri assetati di sangue che il mondo abbia mai conosciuto. Tra le vie della capitale italiana, in cui deve iniziare la sua n...