Premessa: vi consiglio di leggere il brano che segue, dopo aver fatto lo stesso con gli ultimi capitoli del manga di Tokyo Ghoul:re.
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Esattamente! Se non lo sapevate già, Touka aspetta un bambino, o, meglio, porta in grembo il figlio del nostro amato protagonista. Pertanto, io ho voluto dedicare un breve racconto a Kaneki e al suo piccolo, immaginandolo già grande, e pensando a come Ken si comporterebbe con lui, una volta cresciuto, in quanto padre.
Devo confessare che non adoro particolarmente la Touken (Touka x Ken Kaneki), e che questa cosa del figlio di Kaneki non mi ha fatto impazzire. Ma il tutto diventa un evento sempre più dolce che mi sto un po' sciogliendo.
Invece, in voi, che effetto ha provocato l'evolversi del rapporto tra Touka e Kaneki?
Infatti, è stata un po' un casino tutta questa storia.
--------------------SPOILER---------------------La notte era calata da tempo sulla città. Le luci di Tokyo s'erano tutte accese, impedendo al buio di spaventare la gente. Ma il silenzio aveva, oramai, rapito chi era rimasto in casa, mentre fuori tutto continuava ad essere vivo.
Una finestra aperta di un enorme e imponente palazzo lasciava intravedere una fioca luce artificiale, a cui era affidato il compito di illuminare di poco la stanza.
Ken, intanto, in quelle quattro mura, smanettava imperterrito, con le dita affusolate, il telecomando che stringeva debolmente tra le mani, lasciandosi intrattenere, gettato com'era sul divano, dalle immagini che scorrevano, susseguendosi, della televisione, la cui presenza risuonava nell'ambiente a bassa voce, dato che l'uomo aveva deciso di abbassare il volume del suono, per non disturbare la moglie. Infatti, la donna aveva annunciato, poco prima, con gli occhi che per poco non gli si chiudevano, che sarebbe andata a letto. Ma, sebbene Kaneki non avesse seguito Touka nella loro camera, e nonostante l'uomo si fosse limitato a sorriderla, augurandole la buona notte, anche lui non era nel pieno delle sue forze. Come sempre, del resto, arrivata la fine della sua giornata e di quella della, per ora piccola, famigliola: il bambino portava via loro le forze; la libertà di decidere da soli, e la pace che risiedeva nelle serate in due. Eppure, quel piccolo moccioso aveva anche dei difetti.
Era, persino, in grado di far sorridere i genitori, quando erano un po' tristi, e, non per forza, sfruttando un motivo ben preciso. Gli bastava, infatti, abbandonarsi al terreno, lanciare un giocattolo in aria e colpire il padre, sporcarsi del cibo che gli avevano servito, o rifiutarlo, gettandolo addosso all'uomo e sporcandolo, per guadagnarsi le attenzioni della madre, e suscitare una risata generale: un combina guai, senza i denti davanti!
E, ripensando a suo figlio, l'uomo sorrise stanco. Poi, egli spense il televisore, adagiò il telecomando da qualche parte, e si alzò abbastanza velocemente dal divano, come se si fosse appena ricordato di fare qualcosa; e qualcosa di molto importante. Allora, sforzandosi di mantenersi sulle punte dei piedi, e con la stessa delicatezza di un elefante, intrappolato in un negozio di porcellane, Ken lasciò il salone, e iniziò a percorrere il lungo corridoio che portava alle camere da letto. Adocchiò la sua, e la moglie che, sdraiata di lato sul letto, gli dava le spalle: a quella dolce visione, sorrise un poco. Ma prima di raggiungere Touka e di trascorrere con lei la notte, l'uomo, quella notte come tutte, aveva una piccola missione da portare a termine. E dato che si trattava pur sempre del Re da un solo occhio, data la sua semplicità, raggiungere quel traguardo, per Ken, sarebbe stata una passeggiata. Eppure, nonostante tutto, quel gesto era importante; anzi, di vitale importanza, e necessario al corretto funzionamento delle cose: l'uomo doveva assicurarsi che il bambino, il quale giaceva nella camera a fianco alla loro, stava dormendo per davvero, prima di potersi sistemare nel suo letto.
Allora, continuando la sua buffa e, a suo parere silenziosa, camminata, l'albino inquadrò la porta della stanza del figlio, e decise di aprirla lentamente. Ad ogni movimento, egli rimaneva fermo, inquieto, per un po', per paura di svegliare il piccolo. Poi, dopo aver respirato silenziosamente, continuava ciò che doveva fare. Fino a quando non riuscì ad aprire la porta davanti a lui, e dietro la quale aveva trascorso, oramai, cinque minuti. Ed una volta spalancata completamente, lo spettacolo che essa celava era uno dei più belli di sempre, per Kaneki: nella camera del figlio, ogni cosa era al suo posto. E pure il bambino.
Rassicurato da una tale visione, dunque, l'uomo si avvicinò al lettino del piccolo, lo guardò ancora una volta dormire beato, avvolto da mille coperte, tanta era la premura della madre, si piegò sulle ginocchia, arrivò all'altezza di una piccola lampada, e la spense. Ma, di colpo, la stanza diventò così buia, che l'impavido Ghoul inciampò su qualche cosa: evidentemente, non tutti i giocattoli del figlio erano al loro posto, come, invece, sembrava che fossero. E, rimasto in terra, prima di poter lamentarsi per il dolore, e liberarsi della macchinina che aveva provocato la sua caduta, la quale, in quel momento, giaceva sotto al suo sedere, le orecchie dell'uomo catturarono un debole suono; una labile, quasi invisibile, vocina che Ken adorava, ma che, in una situazione del genere, non avrebbe mai potuto desiderare di sentire.
"Papà..."-balbettò, sussurrando, il bambino dal suo letto, svegliato dal rumore causato dal maldestro padre, e con la voce ancora impastata dal sonno. L'albino, allora, fu costretto ad alzarsi da terra, e ad avvicinarsi al figlio, di cui aveva infranto, sbadatamente, il sonno: ci sarebbe voluto un po' per farlo riaddormentare di nuovo, pensò Kaneki. Ma non se egli avesse sfoderato un colpo infallibile.
"Tesoro, non preoccuparti. Non è successo niente!"-disse l'uomo, tentando di rassicurare il piccolo che, preoccupato, per poco non si era disfatto di tutte le lenzuola che lo avevano coperto, mettendosi a sedere sul materasso.
"Adesso, papà ti racconta una storia. Va bene?"-sorrise l'albino, posando la sua mano su quella del figlio, e rubandogli un sorriso emozionato e sorpreso. Poi, dopo aver acceso di nuovo la piccola lampada, egli si diresse verso una mensola, sulla quale erano ordinati migliaia di libri diversi, per colore e dimensioni.
"Una favola, papà?"-chiese il bambino, sistemandosi nuovamente sotto le coperte, seguendo la figura del genitore con lo sguardo, e accorgendosi che quest'ultimo aveva appena scelto il libro che gli avrebbe letto, quella sera: Hide, questo era il nome che mamma e papà avevano pensato si addicesse all'animo buono, dolce e spensierato del loro pargolo, conosceva a memoria ciascun racconto riportato sui fogli che custodiva nella sua camera. Eppure, egli non si stancava mai dell'aspetto tranquillo del padre, intento a leggerglieli.
"No, non ho detto una favola."-precisò l'albino, una volta impugnato il testo scelto per quella seduta, avvicinandosi a suo figlio.
"Ho detto una storia."-disse, infine, sedendosi su una sedia, che sistemò affianco a letto di Hide.
"Vedi, tesoro, non per forza i racconti devono avere un lieto fine. Ogni fine, in effetti, è triste. L'importante è, però, che ogni storia lanci un messaggio, servendosi dei bei momenti belli.
E, molte volte, questo basta."-spiegò Kaneki, sorridendo al piccolo e osservando il suo viso che diventava sempre più confuso ad ogni parola proferita dal padre, per poi lasciarsi scappare una debole risata, dinanzi ad una simile ingenua creatura.
"Un giorno, capirai."-aggiunse e concluse il Ghoul. Poi, egli aprì il libro, portò lo sguardo sulla prima pagina di questo, e iniziò a leggere ad alta voce ciò che il figlio desiderava sentirsi dire. Fino a quando, tra sorrisi e battute, lacrime e incomprensioni, la storia si avvicinò al termine, e così anche l'energia che aveva in corpo il piccolo Hide, il quale, pian piano, sprofondò in un dolce sonno, come cullato dalle parole del padre, che raccontava la sua vita e narrava la sua storia. E quando Kaneki se ne accorse, iniziò a domandarsi se il figlio avesse capito ciò che egli voleva che il piccolo sapesse.
"Un giorno, capirai anche tu."-sussurrò al bambino dormiente, ripetendo la stessa frase ancora una volta, e un'altra ancora, come per fare in modo che il desiderio nascosto in quelle sue parole, un giorno, si avverasse. Poi, quando vide le gote rossicce e la bocca semiaperta del figlio, gli occhi socchiusi innocentemente, l'albino, stremato, appoggiò la testa contro il petto del suo bambino, fino a sentire ciò che egli aveva dentro: ne era sicuro, un giorno, suo figlio avrebbe capito davvero.
E si erano così stancati di raccontarsi padre e figlio, che, il giorno dopo, Touka li trovò nella stessa posizione in cui avevano scelto di amarsi l'un l'altro, la sera prima, ancora addormentati. E la donna assistette al più bello spettacolo della sua vita: su un letto, un bambino dormiente sdraiato sotto le coperte, e avvolto dalle braccia del padre, la cui testa giaceva sul petto del figlio; le cui orecchie potevano sentire il suo piccolo cuoricino battere: a quanto pare, pensò Touka, suo marito questa cosa di appisolarsi sul corpo altrui l'aveva presa come abitudine.
Allora, la donna decise di avvicinarsi alla sua famiglia, e di sistemarsi accanto al figlio nel letto, lasciando che suo marito proteggesse anche lei. E quando notò che delle lacrime avevano lasciato la loro impronta e scia sul viso dell'uomo, ella capì che, la sera prima, Kaneki aveva raccontato al suo bambino una storia. Ma non una qualunque: forse, la loro; molto probabilmente, la sua.
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We all have a story {Tokyo Ghoul}
Fanfic[Attenzione a possibili spoilers, se non hai letto anche il manga di Tokyo Ghoul:re] •Descrizione: Raccolta di pensieri e one-shots, ognuna dedicata ad un personaggio di Tokyo Ghoul e al suo modo di fare, pensare, vedere le cose, sbagliare e avere r...