33. Estate {Koutarou Amon}

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Combattevo l'insopportabile caldo di questi giorni, perché mi rendeva difficile scrivere in santa pace. Poi, ho provato ad assecondarlo e ne è uscito ciò.

Ps: scusate l'immenso ritardo, ma non avevo l'ispirazione.

La testa dell'albino continua a seguire il ventilatore, che intanto prosegue con i suoi giri nell'obbiettivo di rinfrescare l'aria afosa che non possiamo fare a meno di respirare, in questo caldo pomeriggio d'estate.
Il debole e incessante rumore dello strumento che io e i miei colleghi ringraziamo ogni giorno di più di questa imperdonabile stagione è l'unico che si permette di spezzare il silenzio che, altrimenti, avrebbe regnato in ufficio.
Di tanto in tanto, esso è assecondato dai versi di Juuzou che proferisce frasi senza senso, proprio quando l'aria prodotta dal ventilatore si scaglia contro il suo viso. Il tutto produce dei suoni quasi meccanici e, devo ammetterlo, quasi buffi.
Ma nessun altro osa aprire bocca per comunicare con il suo collega, in modo da non far seccare la gola.
Per la prima volta, la finestra spalancata non sbatte, e fuori il vento tanto è debole che non riesce a sollevare nemmeno la foglia più leggere, distesa in terra.
Se mi avvicino al davanzale, lo spettacolo che quell'apertura mi offre è lo stesso di sempre. Ma, almeno, in quel punto dell'ufficio, riesco a capire davvero quanto sia prezioso il condizionatore sopra la mia testa.
Saranno passate delle settimane dall'ultima volta in cui ha piovuto, qui a Tokyo. Ma nonostante sia piena estate, e le temperature registrate battano qualsiasi record, i Ghoul non si arrendono all'afa estiva, e il lavoro è tanto.
Immerso in mille pensieri, rimango poco ad osservare il cielo privo della più piccola nuvola, dinanzi alla finestra, e dopo aver sorseggiato un po' dell'acqua di cui è, ancora per poco, colmo il bicchiere che stringo tra le mani, decido di tornarmene a sedere.
Prima che possa abbandonare quel posto d'onore, tuttavia, i miei occhi si imbattono in una piacevole immagine. E le mie labbra si incurvano in un sorriso, quando riesco a scorgere dei bambini rincorrersi tra gli schizzi sregolati, emessi dalla fontana della piazza.
Attraverso l'ufficio, per raggiungere nuovamente la mia scrivania. Supero quella di Takizawa, e sono costretto a trattenere una smorfia nel vederlo con la testa appoggiata al suo banco da lavoro: in quanto suo superiore, dovrei richiamarlo; ma anche se, a differenza dei suoi, i miei occhi sono aperti, persino io sto dormendo.
Quando sono ormai dinanzi alla mia scrivania, il vedere l'enorme pila di fogli che sono in attesa di essere compilati e firmati mi costringe a sbruffare sonoramente. Mi siedo, e impugno nuovamente la penna, preparandomi a continuare il mio compito. E soltanto ritrovandomi in mano la biro nera, mi rendo conto di quanto la mia mano sia sudata.
Fa parecchio caldo in ufficio, e non so se sia la stanchezza a renderlo più evidente e insopportabile. E nonostante vorrei potermi disfare degli abiti che sono costretto ad indossare a lavoro, non ho altra scelta che scacciare dalla mia mente certi pensieri; assurdi desideri, che mai potrò realizzare.
L'unico privilegio che posso concedermi è, infatti, quello di alzare di poco le maniche della camicia bianca che indosso, in modo che arrivino a lasciarmi scoperti gli avambracci. Persino l'orologio legato al polso mi provoca fastidio, e mi fa pesare il fatto che esista un oggetto così inutile, dato che sulla parete ne è appeso uno analogico più grande.
Allora, lancio uno sguardo veloce alle lancette che si rincorrono sulla quella piattaforma.
Le studio rapidamente, e comprendo che manca ancora molto per tornare a casa. Automaticamente, i miei occhi si posano su ciò che ho dinanzi, in cerca di qualcosa di bello da guardare. Ma la scrivania di fronte alla mia è vuota: a quanto pare, è in ritardo.
Standomene in silenzio e continuando a fissare, sorpreso, il nulla, cerco di trovare una spiegazione all'accaduto e di indovinare dove la mia sottoposta possa trovarsi, in questo momento. Il fatto che non abbia avvisato del suo ritardo, infatti, mi preoccupa parecchio.
E osservare che questo sia il suo primo indugio da quando la conosco non mi fa sentire meglio: il solo pensiero che possa esserle successo qualcosa mi fa stare male.
Ma non faccio in tempo a preoccuparmi oltremodo, che vedo la porta aprirsi lentamente. E rimango in attesa del viso che cela quel pezzo di legno, fino a quando, compresa l'identità del mio ospite, non decido di distogliere lo sguardo dall'entrata dell'ufficio, riprendendo a concentrarmi sui mille fogli che giacciono affianco alle mie mani, e facendo finta di essere così impegnato, da non poter concedermi del tempo per riposare, e interessarmi su chi entra ed esce dalla stanza.
"Buongiorno."-le labbra di Akira si schiudono dolcemente, producendo un suono freddo e soave al tempo stesso. Il saluto della giovane investigatrice è ricambiato da uno più teatrale di Juuzou, che manifesta una contentezza poco cauta e per nulla opportuna alla situazione, saltellando su stesso. Come risposta a quel bizzarro comportamento, la donna, invece, si limita a sorridere all'albino.
Non ne sono sicuro, ma il tutto sembra provocare una reazione di Takizawa che, sollevata la testa dal tavolo, accoglie la sua collega con una delle sue solite smorfie. E non so perché, ma anche in me qualcosa si è mosso, dinanzi ad un simile gesto da parte della bionda.
Semplicemente, forse, non sono abituato a vedere Akira sorridere: sono poche le persone a cui lei concede un simile premio, e io non sono tra quelle; al contrario di Juuzou, a quanto pare. Dunque, non c'è bisogno che la saluti in modo così vistoso.
"Come mai questo ritardo?"-chiedo, e non distolgo lo sguardo dai fogli. Ne approfitto per lavorare un po'.
Alzando di poco lo sguardo, poi, riesco ad accertarmi che la mia subordinata si è sistemata sulla sua scrivania ed è già pronta a svolgere il suo compito. E solo ora che so che non alzerà il viso, piegato e intento ad analizzare i documenti che ha tirato fuori dalla sua cartella, per contemplare quello di chi le sta parlando, posso abbandonare la cortesia e l'indifferenza costruita, che ci impedisce ogni giorno di scambiarci intimità.
"Mi scusi, investigatore Amon. Ma c'era traffico."-risponde l'investigatrice secca.
Io, intanto, mi godo per un attimo lo spettacolo che ho davanti e che lei stessa mi offre.
E non posso che amare il caldo che tanto ho odiato fino ad adesso, per la camicetta bianca dotata di una piacevole scollatura che, per la mia gioia, Akira si è concessa, questa mattina.
E osservando il suo petto, mi convinco del fatto che sarebbe bello se andassimo al mare insieme, qualche volta.

Dopotutto, l'estate è proprio la mia stagione preferita.
~Koutarou Amon

We all have a story {Tokyo Ghoul}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora