22. Fine {Più personaggi}

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Qualche parola sull'ultimo episodio della seconda serie dell'anime: quando tutto ha iniziato a finire.

Si era, oramai, fatta sera, mentre la neve, in quella maledetta notte d'inverno, continuava a cadere, e la città iniziava a tingersi di bianco. Dello stesso colore dei capelli di Juuzou che, intanto, venivano, dolcemente, ma brutalmente, mossi dal vento.
In quel momento, il giovane era disteso a terra, e osservava il cielo, lo stesso sotto cui aveva vissuto altre migliaia di volte. L'investigatore contemplava la neve, la stessa che aveva guardato, con indifferenza, il giorno prima, dalla finestra della sua stanza. E in quel momento, Juuzou ammirava suo padre, la stessa persona che aveva sempre avuto davanti agli occhi. Eppure, quella sera, qualcosa era cambiato, in quello sguardo, dentro al quale non era più possibile scorgere dell'indifferenza. L'investigatore, infatti, quel panorama se lo stava gustando, provando tante diverse emozioni. Emozioni che non aveva mai provato, fino ad allora. Se lo stava gustando, come avrebbe fatto una persona normale. E mentre Shinohara perdeva sempre più sangue, affianco a lui, Juuzou rimaneva immobile, a guardare il mondo, il paesaggio che lo circondava. Nel frattempo, i suoi capelli si scurivano, e non erano più dello stesso colore della neve e dell'inverno, che lo stavano avvolgendo: il giovane si sentiva solo, triste, mentre continuava a smettere di esistere, con le lacrime agli occhi, dopo aver urlato, un'ultima volta.

Il nemico, che, in quel momento, Takizawa si ritrovava davanti, era l'avversario più forte, che avesse mai affrontato: il giovane, ne era sicuro, non l'avrebbe mai sconfitto, ma, magari, sarebbe riuscito a guadagnare del tempo. Il tempo necessario ad Akira, per raggiungere Amon, e salvarlo.
In fondo, contava molto di più il suo capo di lui. Lui, che era così inutile, e sbagliato. Il suo capo, che era così perfetto, anche agli occhi della bionda. E mentre la fine lo avvolgeva, impedendogli di parlare, o muoversi, il giovane investigatore poteva soltanto pensare. E, anche durante la sua fine, Takizawa pensò a lei: mentre finiva di esistere, egli rivolse ad Akira un dolce pensiero.
Anche Amon, tuttavia, diceva addio alla sua vita, pronto ad affrontare l'imminente morte. Come il ghoul che aveva appena fronteggiato, infatti, si era gettato a terra, stremato, ma quasi per sbaglio. E il suo corpo, disteso sulla neve che, oramai, aveva ricoperto ogni cosa, implorava aiuto. Implorava delle scuse. Implorava quel viso e quelle labbra che, il giorno prima della battaglia, aveva rifiutato così stupidamente, e a malincuore. E anche Amon, come Takizawa, finiva di esistere. Finiva di esistere, con una sola immagine, fissa nella mente, mentre, dolorante com'era, poteva soltanto piangere, e ammirare lo splendido lavoro che Akira aveva fatto. Quella quinque che, quando la giovane arrivò, era l'unica cosa che era rimasta, mentre tutto era finito.

Un odore di caffè danzava, dolcemente, nell'aria, finché non venne catturato dal naso di Ken, che sorrise, quando ebbe chiaro quel profumo: il giovane non era mai stato persuaso, a tal punto da sentirsi così bene, come si sentiva in quel momento, prima di conoscere l'Anteiku, e di iniziare a frequentarlo.
Ogni giorno, fino a qualche tempo fa, lui e Hide si ritrovavano spesso in quel locale; magari, anche solo per chiacchierare. E Kaneki ricordava bene quei momenti, il volto del suo compagno. Quel volto così spensierato e allegro, che veniva illuminato dalla luce del sole, che penetrava grazie ad ampie finestre, all'interno del piccolo, ma accogliente, locale. Ricordava l'odore delle loro conversazioni, ricordava ogni singola parola, di ogni singola pagina di libro, assaporata e gustata, dolcemente, tra le mura dell'Anteiku.
Ricordava le giornate piovose, e quelle più soleggiate. Le mattine, in cui si sarebbe dovuto sbrigare, per raggiungere l'università, ma rimaneva, ugualmente, all'Anteiku, senza curarsi troppo dell'orario. Nel posto in cui si sentiva più al sicuro. Nel luogo che amava più della sua stessa casa.
E Kaneki ricordava bene la sua casa, la sua famiglia. Ricordava Touka, Hinami, e la loro dolcezza. Ricordava gli schiaffi con cui la prima si sfogasse sul suo viso, ricordava come litigasse con Nishio, anziché lavorare. Ricordava ogni singolo gesto, e ogni singolo momento, vissuti con quelle persone, perché non importa quanto fossero state crudeli con lui, all'inizio. Ma erano state importanti. Lo erano anche in quel momento, lo sarebbero state per sempre.
Perché a Kaneki non importava più di essere diventato un mostro. Fu grazie a quella dannata operazione, infatti, che il giovane conobbe le persone più importanti della sua vita. Tanto triste, quanto felice.
In quel momento, dunque, Ken non aveva alcun rimpianto. O, almeno, non ricordava di averne. Era soltanto un po' dispiaciuto, di aver raggiunto la sua fine. Quella fine a cui tutte le persone, quando meno se lo aspettano, giungono.
E mentre il giovane finiva di esistere, il solito odore di caffè quasi spariva, fino a che gli occhi di Kaneki non potevano osservare del sangue, e Hide che, anche quella volta, stava sorridendo a un mostro, come lui. Che, anche quella volta, aveva raggiunto l'Anteiku, per chiacchierare con il suo migliore amico. Perché il biondo era sicuro che l'avrebbe trovato lì, nella sua casa, a pensare, mentre finiva di esistere.

Touka, in ginocchio, quasi pregasse, era appoggiata al suolo, freddo. Le lacrime le impedivano una vista chiara di ciò che aveva d'avanti. Ma, in fondo, la ragazza non aveva né voglia né coraggio di vedere come tutto finiva di esistere.
Come, quella sera, quella maledetta notte, le fiamme avvolgevano ogni cosa, distruggendola.
I sogni, la speranza, il passato, il presente, il futuro e la vita.
Le fiamme, che erano morte, avvolgevano d'oscurità la vita, che era luce.
Che lo era stata, che aveva smesso di esserlo.
E anche il freddo gelido dell'inverno, si abbatteva contro gli uomini. Feriti, a pezzi, distrutti, annientati. Gli uomini che, dopo aver fatto la guerra, sognavano la pace, come se la meritassero davvero. Come se gli spettasse, quasi fosse un loro diritto.
Ma non merita la pace, colui che fa la guerra, e non merita la luce, colui che vive nell'oscurità.
Non merita l'amore, chi odia il prossimo, e non merita la vita, chi la porta via agli altri. Qualunque sia il suo obbiettivo.
Perché chi uccide rimane tale, qualsiasi cosa abbia sognato, e per qualsiasi valore abbia lottato. Perché chi uccide ha ucciso, nonostante tutto.
E tutti, quella sera, avevano ucciso. Ognuno a modo suo, ma l'avevano fatto. Chi aveva mentito, chi aveva ignorato, chi cercato di dimenticare, e chi aveva dimenticato di vivere. Quella notte, durante la quale nessuno stava vivendo. Ognuno ucciso da qualcosa, che ne aveva provocato la distruzione, e la fine.

Che poi, si sa, c'è sempre un nuovo inizio; uno ancora più bello, dopo una fine.

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