21. Mamma {Akira Mado}

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Questo racconto è dedicato a ciascuna mamma, e a ciascun figlio.
Semplicemente perché noi giovani le diamo sempre per scontato,
quando, invece, loro sono qualcosa di puro, prezioso, e assai raro.
Qualcosa che può svanire, da un momento all'altro.
Qualcosa che, soprattutto, ha bisogno della nostra tanto insignificante, quanto importante, protezione e approvazione.
E proteggiamo le nostre madri, anche a nome di chi può, soltanto, ricordarle.

Le luci del soggiorno illuminavano il volto della bambina dai corti capelli biondi, e dai piccoli occhi vivaci, intenta a disegnare, appoggiata al tavolo, e inginocchiatasi davanti a questo.
Mentre Akira colorava il suo disegno, ideato proprio per la festa della mamma, che presto sarebbe venuta, suo padre prestava attenzione alle pagine di un giornale, e passava alla successiva, non appena aveva finito di dare una rapida occhiata a quella precedente.
Ovviamente, ogni tanto, si distraeva dai vari articoli e dalle immagini correlate, e prendeva a guardare sua figlia: alle volte, rimaneva a fissarla per pochi minuti, altre per un'eternità.
Ammirava i suoi soffici capelli biondi, che aveva ereditato dalla madre, e che lui adorava un sacco. E quando la bambina si accorgeva che il padre aveva gli occhi fissi sulla sua figura, immediatamente, prendeva tra le mani il disegno, ancora incompiuto, e lo portava dietro la schiena, con lo scopo di nasconderlo al genitore. Poi, si lamentava con il padre di aver cercato di spiare il suo lavoro.
E alle parole dell'uomo, che la rassicurava di non aver visto nulla, la piccola riprendeva il disegno. Lo posizionava, nuovamente, sul tavolo, impugnava un pennarello, e continuava la sua opera d'arte, ricordandosi di prestare, però, più attenzione al suo papà, che, ne era sicura, avrebbe voluto vederla prima del tempo.
Alla festa, infatti, mancavano, ancora, diversi giorni, ma, quest'anno, la bambina si era ripromessa di fare il più bel regalo, che una mamma avesse mai potuto desiderare di ricevere. E Mado era abbastanza curioso. Spesso, provava ad avvicinarsi a sua figlia, anche per aiutarla, ma lei, lo abbiamo già detto, non voleva sentire ragioni, e rifiutava ciascuna offerta di aiuto.
E il padre, davanti a delle simili situazioni, pensava: è uguale a sua madre.
Difatti, dobbiamo ammetterlo: Akira somigliava parecchio a Kasuka. Non soltanto il colore degli occhi, la carnagione chiara, e il colore dei capelli, ma la bambina aveva ereditato dalla madre anche l'eleganza nei modi, e, al tempo stesso, la testardaggine.
La piccola, infatti, era molto ordinata, e delicata, ma, quando si trattava di litigare, non perdeva occasione per farlo, proprio come Kasuka alla sua età.
Kureo ricordava bene il giorno in cui si erano conosciuti, e come lei l'aveva subito conquistato.
Ricordava le volte in cui Marude e Shinohara pensavano tutti i modi possibili per poter vedere le ragazze dell'accademia, e per poter parlare con loro, mentre, invece, lui rimaneva in disparte, ad osservare la figlia del suo capo.
Ricordava tutti i litigi, gli equivoci, gli incontri segreti, le risate, i guai combinati.
Ricordava ogni cosa della loro bellissima storia, ogni cosa della loro vita vissuta assieme.
E quando guardava sua figlia, Kureo si convinceva sempre di più di aver fatto la cosa giusta, e di essere fortunato ad avere una famiglia, da poter stringere e proteggere.
Ad un certo punto, il rumore di alcuni passi raggiunse le orecchie della bambina che, sobbalzando, in fretta, levò dal tavolo pastelli e pennarelli: non voleva mica che la madre vedesse il disegno, che sarebbe, invece, dovuto essere una sorpresa.
Infatti, Akira aveva riconosciuto il suono di quella camminata, e poteva dirsi di avere ragione, quando comparve, alla porta, la figura sorridente della madre.
La piccola le corse incontro, e si accorse che lei aveva ancora il cappotto addosso, segno che era tornata da poco. Sicuramente, da lavoro.
Kasuka, in tutta risposta, ricambiò il gesto della figlia, che si era gettata tra le sue braccia, e vi lasciò un bacio sulla guancia, mentre, dopo averla presa in braccio, raggiunse il marito, che le diede il bentornato a casa.
E, insieme, i tre apparecchiarono la tavola, per la cena, e mangiarono uno accanto all'altro.
Fino a che il silenzio non fu riempito dalla voce di Kureo.
"Allora, com'è andata a lavoro, tesoro?"-ruppe finalmente il ghiaccio l'investigatore.
"Bene. Domani, sarò impegnata nella tanto importante missione."-sua moglie sorrise, e poi avvicinò la mano alla figlia, che, invece, si allontanò dalla madre.
"Perché te ne vai sempre, e non resti mai con me?"-la bambina concluse la frase, le lacrime agli occhi lucidi, per poi correre nella sua stanza, e scoppiare in un pianto.
Alle parole di Akira, il padre stava per rispondere, e rimproverarla della maleducazione nei confronti della moglie, quando Kasuka fermò il marito, e lo rassicurò che andava tutto bene, si alzò dalla propria sedia, e si diresse al piano superiore.
Arrivata nella camera dalle pareti rosa della bambina, e vedendo la figlia in ginocchio davanti a letto, impegnata a versare lacrime, la madre non riuscì a trattenere, anche lei, una lacrima. E si avvicinò, lentamente, alla bambina che, non appena la vide, si sfogò con lei.
"Perché? Perché mi lasci sempre da sola, mamma?"-la voce di Akira era spezzata dal pianto.
Quelle parole, intanto, colpirono Kasuka, e il volto di sua figlia, che implorava attenzioni, le spezzò il cuore. Una, due, infinite volte.
Per poi convincerla a stringere la figlia nelle sue braccia. Nelle braccia che la bambina più amava, e in cui più si sentiva al sicuro. Quelle braccia tanto sognate e desiderate, che sarebbero state sue, solo per poco tempo ancora.
"Amore mio, io resterò sempre con te. Anche se tu non mi vedrai, e se non saremo vicine, sappi che io sarò sempre al tuo fianco, pronta per aiutarti."-anche Kasuka, oramai, singhiozzava.
Se l'era ripromesso quando aveva saputo di essere, nuovamente, incinta e, stavolta, di un maschio: aveva promesso che avrebbe dedicato più tempo ai suoi figli, e meno al lavoro.
E le parole della madre provocarono in Akira tanto dispiacere, perché, in fondo, era stata lei a far piangere la madre. Ed era colpa sua, se quella si era sentita così in colpa. Una colpa che, la bambina ne era sicura, Kasuka non meritasse.
Allora, la piccola si strinse più forte alla madre, tanto da poter sentire il suo cuore battere, e quello del suo fratellino. E il battito all'unisono di quei due cuori diede coraggio alla bambina, e le provocò anche gioia.
A fatica, smise di piangere, ma non lasciò sua madre.
"Mamma, scusa. Io ti voglio tanto bene!"-proferì Akira, con la voce impastata, confusa.
"Anche io, tesoro mio."
"Promettilo!"-il viso della bambina, che si distaccò, per un attimo, dalla madre, si fece più serio, mente Kasusa era confusa: non era sicura di aver capito.
"Prometti che resteremo insieme per sempre!"-continuò la piccola, facendo sorridere la madre, che continuava a singhiozzare, come una bambina.
"Te lo prometto!"-terminò, con voce soave.
E quando Akira e sua madre ebbero finito di stringersi, davanti alla porta era pronto ad abbracciarle, ancora più forte, Kureo: tutti e tre, l'uno accanto all'altro, erano una vera forza.
E la bambina la forza l'aveva riacquistata, quindi, dopo che la situazione si calmò, si diresse nella sua stanza, aprì il cassetto della scrivania, dov'era custodito il disegno per la madre, e lo ritoccò un poco. Aggiunse, accanto alla figura di Kasuka, quella sua e del suo papà: Akira disegnò la sua famiglia unita.

E quel disegno la giovane lo conserva tutt'ora, sebbene sia dispiaciuta di non averlo potuto dare alla madre, che non tornò mai più a casa, dopo essere andata a lavoro, il giorno dopo quello di cui abbiamo parlato.
Erano passati tanti anni, ma la giovane lo sapeva: era sicura che lei e sua madre sarebbero rimaste sempre insieme, e che Kasuka non fosse una bugiarda.
E mentre ricordava quella promessa, mentre le parole della madre le ronzavano nella testa, ella rimaneva ad osservare il disegno che aveva fatto da bambina. Sul quale, ogni volta che lo ammirava, versava delle lacrime.
Grazie al quale, ogni volta, ammirava la sua famiglia.
La sua mamma, che sarebbe stata, per sempre, accanto a lei, sebbene, anche quel giorno, avesse preferito il lavoro alla figlia.

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