Capitolo 7

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-Luke-

Collego gli ultimi fili alla sedia, passandomi poi il dorso della mano sulla fronte per asciugare il sudore. Prendo l'elastico al polso e mi lego i capelli in una coda veloce, per poi continuare a concentrarmi sulla sedia. Gabriel sarà qui a minuti. Mi metto in piedi a fatica e vado a cercare un cacciavite. Se non fosse per la protesi alla gamba destra, riuscirei a muovermi più facilmente. Dannato Harry e i suoi denti. Ero sicuro che avrei dovuto ucciderlo prima che lui mi facesse del male. Potevo conficcargli un proiettile in mezzo agli occhi, avevo la possibilità di salvarmi, invece ho aspettato inutilmente perché non ce l'ho fatta ad ammazzarlo. E ora mi tocca questa gamba finta per colpa sua. Almeno la mia famiglia è ricca e non ha avuto problemi a comprarmene una. Tra l'altro, essendo figlio unico sono abbastanza viziato, e sono cosciente di ciò, anche se non mi è mai interessata la montagna di soldi che potrei ricavare entrando nell'impresa di famiglia: la grande azienda Callaway, invidiata da tutto il mondo. Non capisco questa sete di potere da parte dei miei ma, non essendo Elementali, non hanno nessuna preoccupazione, inclusa quella per il loro figlio. Non devono tenere a bada mostri che vogliono solo ingurgitarli. Sebbene sia un Cacciatore Oscuro, e sia dalla parte dei mostri, sono anche cosciente che molti di loro rappresentano un pericolo, e Harry me ne ha data la conferma. Alcune volte penso che i dampiri siano perfino più forti dei vampiri, o forse è solo una mia impressione dal momento che uno di loro mi ha quasi staccato una gamba a morsi, mentre un normale vampiro si sarebbe limitato a prosciugarmi.

Faccio il giro intorno al tavolo dove ci sono tutti i miei attrezzi e cerco il cacciavite. L'unica cosa che i miei genitori mi hanno regalato, e di cui sono veramente contento, è questo laboratorio dove posso creare e montare quello che mi passa per la testa. A differenza loro e della loro impresa, le cose che invento sono unicamente frutto della mia testa, sebbene ora stia fabbricando una sedia per Gabriel, che non userà lui, ovvio. Se devo essere onesto, non sono sicuro di chi la utilizzerà: non ha proferito parola su ciò.

Comunque il laboratorio è davvero fantastico. Non sembra uno di quelli scientifici e senza vitalità, bianchi e statici. Odio quel tipo di ambiente e per questa ragione l'ho fatto costruire simile a un vecchio garage: perfino per entrare va tirata su una saracinesca. Subito dentro c'è questo enorme tavolo quadrato pieno di fogli e di bozze riguardo diverse invenzioni a cui lavoro quando non ho nulla da fare. Una volta avevo anche dei quaderni, ma credo che mia madre li abbia strappati. Da quando mi sono voluto iscrivere all'università d'ingegneria lei è sempre stata contraria a questa mia scelta. Non voleva che facessi la fine di mio padre, sempre chiuso nel suo laboratorio, dimenticandosi di tutto e di tutti. Poi, senza rendermene conto, sono diventato esattamente come lui. Forse perché sono sempre stato il più giovane della mia classe, e i ragazzi più grandi tendevano a escludermi. Frequentare l'università a soli sedici anni è davvero difficile. Comunque alla destra del tavolo c'è una libreria abbondante di libri sulla fisica, sulla matematica e sull'ingegneria in generale, e su tutti i suoi rami; nella parte sinistra invece sono presenti alcune delle invenzioni a cui lavoro di tanto in tanto: un nuovo sistema di hackeraggio, un jetpack, un orologio che si illumina ogni volta che cambia ora (è infantile, lo so, ma cominciai a costruirlo quando ero piccolo) e una vecchia batteria di un'automobile. In fondo alla sala, poi, c'è la sedia su cui sto focalizzando la mia attenzione. A prima vista è una normale sedia d'acciaio, ma sotto di essa c'è un sistema elettrico che, azionato con un piccolo telecomando, manda una scarica di corrente lungo tutto il mobile. Ovviamente la tensione è bassa: non vorrei che qualcuno rimanga folgorato a causa di una mia invenzione. La corrente serve solo a infastidire. Sui braccioli sono presenti due manette (più simili a due bracciali spessi e neri), con cui possono essere bloccate le mani, e altre due ai piedi della sedia per gli arti inferiori. Tutte sono in ferro. Inoltre nel progetto iniziale era inclusa anche una bomba, ma meglio non esagerare. Comunque sono soddisfatto di questa sedia: credo sia il mio lavoro migliore. Di sicuro migliore dell'orologio, ma avevo nove anni quando ho iniziato a lavorarci, anche se non l'ho mai portato a termine. E ora, a venti, non credo che sia di vitale importanza. L'unica cosa che vorrei aggiungere al laboratorio, però, è una seconda entrata dal giardino, giusto dietro la sedia, naturalmente spostando questa.

Sharon: La Pietra Di BlarneyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora