Capitolo 6

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-Taylor-

- Grazie per il passaggio, Melania. - La ringrazio in modo gentile mentre apro la portiera della sua macchina, una vecchia Ford Mustang del 1968, e scendo.

- Non preoccuparti. Ci vediamo domani al lavoro e, Taylor? - Mi giro a guardarla quando mi richiama, appoggiando un braccio sullo sportello aperto. - Dovresti prenderti la patente. - Dice con un sorriso scherzoso in volto mentre si passa una mano tra i corti capelli neri. Scuoto la testa e le sorrido.

- Ho la patente, ma non i soldi per riparare la macchina. A domani. - La saluto, prendo la borsa e chiudo lo sportello. Lei parte non appena mi allontano dalla macchina e raggiungo la porta d'ingresso, cercando le chiavi nella borsa. Appena avrò qualche soldo in più dovrò ricambiare tutti questi passaggi che mi dà, anche se per lei non sono nulla dopo anni che lavoriamo insieme. Purtroppo non è sposata, non ha neanche figli, e questo è triste: è una donna così gentile e simpatica, sempre solare, e adoro i suoi vestiti, soprattutto i colori. Ogni giorno ne indossa uno diverso che mi porta a chiedermi quanti armadi abbia in casa. Oggi ne aveva uno viola melanzana, che le rendeva la carnagione ancora più scura di quanto non sia già. È leggermente in carne, ma porta questi vestiti con una disinvoltura da invidiare. Il suo viso è rotondo e le sue labbra sono carnose, si potrebbe anche pensare che siano state ritoccate chirurgicamente; gli occhi sono la parte migliore della donna: di un castano così scuro e dallo sguardo così profondo che potrebbe mettere in soggezione. Tra l'altro ha sempre una battuta pronta per far sorridere e ridere chiunque abbia intorno, rallegrando a tutti la giornata. Riuscirebbe a metter di buon umore in qualsiasi situazione. È davvero brutto che però non abbia nessuno con cui condividere la casa in cui vive, essendo questa anche abbastanza grande per una sola persona. Perciò molte sere, inclusa questa, andiamo fuori a mangiare qualcosa dopo il lavoro.

Lancio uno sguardo fugace alla finestra del soggiorno: strano che Sharon non abbia acceso la luce. Spero almeno che sia tornata. Ultimamente sta sempre fuori a zonzo con Albert. A volte mi chiedo se stiano insieme e se lei me lo tenga nascosto per qualche oscura ragione. Nell'ultimo periodo non mi racconta molto di quello che fa, ma credo che ormai abbia perso tutta la fiducia che riponeva in me. Forse per questo non parliamo più come una volta. Ho sempre saputo che un giorno avrei perso mia figlia, che se ne sarebbe andata di casa a convivere con il suo futuro marito e a farsi una famiglia, ma non immaginavo così presto e non per questa ragione. Forse ho sbagliato a tenerle nascosto per diciotto anni questo mondo a cui appartiene e al quale, prima o poi, avrebbe avuto accesso. Forse sono stata ingenua ed egoista nelle decisioni che ho preso, ma quale altra scelta avevo? Raccontarle tutto non sarebbe stato il caso, specialmente se l'avesse saputo da piccola. Tutta la sua vita si sarebbe basata su quell'unico costante puntino nella sua mente: suo padre. Forse, appena diventata più grande, avrei dovuto dirle tutto e cercare un modo diverso per proteggerla, avrei potuto fare le cose con calma e magari sperare che non avrebbe sviluppato i poteri. In questo modo, magari, sarei stata anche più sicura che suo padre non avrebbe potuto prenderla in ostaggio se avesse trovato un modo per liberarsi. Avrei dovuto dirle che Harvey, mio marito, ormai era diventato un mostro che avrebbe cercato in tutti i modi di ucciderla. Ma come si fa a dire ad una ragazzina, che non crede neanche a queste cose e non le conosce, che suo padre, che non ha neanche mai conosciuto, vuole ucciderla? Ho reagito d'istinto forse, o in modo egoistico, e non me lo perdonerò mai per aver rovinato per sempre la vita di mia figlia, sia quella normale, sia quella da Elementale. Avrei potuto evitare di trasformare in un mostro una bambina innocente. Da un lato, è meglio che tutto sia andato in questo modo: so per certo che non le avrei mai detto la verità e, se avesse scoperto tutto più tardi, credo che avrebbe potuto anche uccidermi, e ne sarebbe sul serio capace, purtroppo.

Alzo lo sguardo per controllare se la luce della sua camera sia accesa, ma stranamente anche quella è spenta. Controllo l'orologio al mio polso dopo aver afferrato le chiavi dalla mia borsa: le dieci. Non può essere già a letto, prima delle undici non va. Spero davvero che non sia ancora in giro o a caccia. Dovrei stare più attenta alla sua giornata, anche se mi viene difficile. Purtroppo io e Melania, la mia collega, siamo le ultime a lasciare l'ufficio e stasera abbiamo finito anche più tardi del solito, quindi abbiamo anche cenato dopo. Se solo non fosse caduto quel cassetto con tutte quelle cartelle saremmo uscite dall'ufficio anche alle otto. Apro la porta di casa e me la richiudo alle spalle, poi illumino il salotto e la cucina, poggio la borsa sul tavolo ed infine apro il frigo per prendere una bottiglia d'acqua.

Sharon: La Pietra Di BlarneyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora