(2/5) DOPPIO TABÙ

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DOPPIO TABÙ

Eppure nessuno parla mai di loro. Nessuno vuole sentire quella parola, omosessualità, dentro le mura di una scuola. È un doppio tabù: l'istituzione pubblica e l'età troppo bassa. Basti pensare che a Piacenza, solo poche settimane fa, il dirigente dell'ufficio scolastico provinciale ha inviato a tutti i dirigenti degli istituti superiori una circolare di tono medievale. Poche righe che vietano la distribuzione agli studenti delle classi quinte di un questionario conoscitivo sull'omosessualità. "Si ritiene opportuno non distribuirlo", ha scritto il dirigente pubblico in una nota, costringendo i presidi a obbedire. Poche parole, in burocratese, per non sporcarsi le mani, per non esporsi alle critiche. E intanto Mauro, 16 anni, si era buttato dalla finestra della scuola a Roma. E poche settimane prima un altro ragazzo, 14 anni, si era tolto la vita lanciandosi nel vuoto dal balcone di casa. E un altro ancora a ottobre. La ragione? Sempre la stessa. Quei silenzi dei grandi che coprono gli insulti dei più piccoli. Quel mondo che non sembra dare loro una speranza, né fra i coetanei né fra i cosiddetti educatori.

Pasquale è un giovane volontario del Gay Center. E passa parecchie ore alla settimana a rispondere alla Help Line. È uno di quelli che ascoltano, cercano di dare un consiglio alle vittime dell'omofobia. Uno di quelli che compilano le statistiche e che, dopo due anni di lavoro quotidiano, si stupisce ancora quando si rende conto che al telefono c'è un ragazzo di 13 o 14 anni. «Sono quasi il 3 per cento delle chiamate», spiega. «Una percentuale altissima, se si pensa che a quell'età la paura è spesso più forte della voglia di reagire. Molti non hanno il coraggio di dire il proprio nome, altri fingono di chiamare per conto di un amico, oppure mentono sulla propria identità, sulla scuola che frequentano, anche sulla città in cui vivono». Già, perché le storie non riguardano solo i piccoli centri sperduti nella campagna italiana, o le periferie estreme delle metropoli. Proprio nelle grandi città, Roma e Milano in testa, dove l'attenzione dovrebbe essere più alta, si concentrano invece gli episodi e le storie più tragiche: «È vero che nelle città c'è meno omertà e, statisticamente, ci sono meno paure a denunciare», spiegano al Gay Center, «ma è vero che la casistica ci dice che il fenomeno è radicato e diffuso e che c'è un maggiore senso di protezione, di impunità». Sono centinaia di storie. Storie di emarginazione e violenza che il più delle volte passano sotto silenzio: «È difficile per questi ragazzi reagire, perché spesso i genitori non sanno della loro omosessualità e quindi si ritrovano ancora più soli. Sono costretti a subire le violenze, perché non hanno il coraggio di denunciarle, per paura che la famiglia diventi un ulteriore incubo quotidiano da affrontare», racconta il volontario del telefono amico.

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