(1/2) Poesie per un "diverso" e altre cose

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Sono "così", ma non me ne vergogno.

Tu te ne vergognavi. Esperto all'arte

nobile del silenzio, non volevi,

non "potevi" accettarti. Tu mentivi

te stesso agli altri. Questo era il tuo dramma.

Ricordo il giorno che gonfiando il petto,

prima che Tu ti aprissi, che ammettessi

quello che Tu credevi il tuo segreto

(rifugio certo al tuo riserbo altero

- lo sentivi ripetere dagli altri -),

Pierino quasi ridipinto a festa,

dicesti con orgoglio ridanciano:

"Io non mi sparo...", e quel che segue taccio.

E invece, preda facile dei sensi

(l'apporto d'una pubertà tardiva),

t'abbandonasti lento, incominciasti

piano, nel sogno, a scendere la china,

ti logorasti (il grave assillo) a lungo

sempre cedendo, sempre più calando,

cogliesti il fiore, divorasti il frutto,

giungesti in breve, rapido, alle soglie

d'una calzante e lucida follia.

Non ti fermasti. Proseguisti ancora

caparbio, attento, vigile, tenace,

alla ricerca solitària e cieca

dell'attimo infecondo, raccogliesti

(vuota la mente, prosciugato il corpo)

le sparse forze, sprigionasti al vento

l'ultime fiamme, l'ultime scintille,

toccasti il fondo, poi, placato i sensi,

giacesti vinto alfine. E fu la notte

di Giancarlo Albisola

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