Capitolo 28

1.1K 51 1
                                    

Mentre camminavo sentivo la tensione e la rabbia scomparire e lasciar posto a un tremolio nelle mani che avevo sempre odiato.
Ogni volta che mi arrabbiavo le mie mani incominciavano a tremare e non riuscivo più a fermarle fino a quando non mi addormentavo.

Io e Cleve non avevamo mai litigato così. Questa volta però sentivo che le cose non si sarebbero risolte facilmente perché non si trattava di una matita rubata e non ridata più, ma si stava parlando del suo futuro, della mia vita sentimentale e quello che eravamo diventate, e ciò che ci eravamo urlate contro era qualcosa di pesante.

Quando arrivai davanti al portone di quella casa, con mano tremante bussai leggermente.
Iniziai a mordicchiarmi la pellicina intorno al pollice mentre aspettavo e poi la porta si aprì lasciando spazio a ciò di cui avevo bisogno.
Allontanai la mano dalla bocca e feci un debole sorriso.
-Erin! Che succede?-
-Lo so che ti ho detto di averlo bisogno di spazio ma...-tirai su con il naso cercando di non far scappare le lacrime che minacciavano di uscire -...Posso dormire qui? Solo per stanotte-
Mi scrutó per qualche secondo e poi annuì
-Certo che puoi. Entra-
Si fece da parte ed entrai. Non sentivo nessun rumore, c'era un silenzio rilassante.
-Tommy e Nate non ci sono...ma stai tremando?-mi appoggió una mano sulla spalla.
Scossi la testa cercando di ritornare in me.
-Sto bene-sussurrai.
-No non stai bene. Vuoi parlarmene?-
Alzai il viso cercando i suoi occhi che continuavano a fissarmi.
-Non è niente, ho solo litigato con Cleve e avevo bisogno di vederti-
Fece un debole sorriso e mi indicò con un cenno della testa le scale.
-Vieni ti porto in camera-
-Non c'è bisogno posso dormire sul divano-
Un muscolo sulla sua guancia inizió a muoversi e si fece serio.
-Erin non ti faccio dormire sul divano. Dormirai nel mio letto e se avrai bisogno ti abbraccerò mentre ti addormenti-sussurró con voce roca.
Deglutì e senza dire niente lo seguii al piano di sopra.
Quando arrivammo in camera Ryan si diresse verso una cassettiera mentre io fissavo la camera.
Era molto semplice, le pareti erano grigie mentre i mobili erano delle tonalità del blu e alla mia destra vi era un letto, mentre davanti a me si poteva vedere una vetrata che dava sull'oceano.
-Tieni.- mi porse una maglia e un pantaloncino distraendomi dal panorama che si vedeva.
-Non ho pigiami da donna, se vuoi puoi cambiarti in bagno-spiegó indicando una porta dietro di me.
-Grazie-
Mi avviai verso il bagno, chiusi la porta, appoggiai i vestiti sul lavabo e mi fissai allo specchio.
Avevo gli occhi rossi e gonfi mentre le guance erano rigate da lacrime silenziose.
Strinsi gli occhi cercando di resistere e iniziai a cambiarmi.
Quando ebbi finito uscì dal bagno ma nella stanza non c'era nessuno così ne approfittai per  uscire sulla terrazza.
Mi sedetti su una divano a dondolo che giaceva vicino alla finestra e respirai l'aria del mare.
Si poteva vedere benissimo la luna.
Era uno spettacolo mozzafiato.
Quando fissavo la luna riuscivo sempre a immergermi nei pensieri in una maniera assoluta tanto che non sentii quando Ryan mi posó una mano sulla spalla.
Girai la testa di scatto per la sorpresa e lui si ritirò subito come spaventato.
-Scusa non volevo spaventarti-
-Tranquillo è colpa mia. A volte mi immergo nei miei pensieri e non sento più niente-spiegai rannicchiandosi sul divano.
Lo vidi sedersi vicino a me e in mano aveva due tazze fumanti.
-Ti ho portato un thè caldo. Stasera fa abbastanza freschetto-
Mi porse un bicchiere che accettai volentieri.
Aveva ragione, l'aria estiva ci stava lasciando per dare spazio a quella autunnale.
Rimanemmo in silenzio per un po' fissando la luna fino a quando fu lui a parlare.
-Sai cosa dicono della luna?-
-Cosa?-chiesi mentre entrambi bevemmo un sorso di the
-Che se è più vicina alla terra ci sono alte maree mentre se è lontana ci sono basse maree.
Riesce a condizionare l'acqua in una maniera incredibile-
-Non lo sapevo-dissi fissando la luna
Ad un tratto lo vidi voltarsi e guardarmi
-Erin perché non mi parli di quello che è successo?-
Sapevo che stava soffrendo. Non gli spiegavo mai niente e questa volta una spiegazione gliela dovevo.
-Mi sono arrabbiata con Cleve perché non mi aveva parlato del lavoro che facevi. Lo so che non spettava a lei dirmelo ma almeno avvertirmi del rischio a cui andavo incontro!
E abbiamo iniziato a urlarci contro un sacco di cose. Io le ho detto che deve darsi una svegliata e cercare di capire cosa vuole veramente dalla vita mentre lei...- feci un sospiro che mi provocó dei piccoli brividi.
-Cosa ti ha detto lei?-
-Che...che non esprimo mai le miei emozioni, i miei sentimenti e le persone fanno fatica a capirmi. Mi tengo tutto dentro.-
Lui non disse niente e io continuai cercando di non piangere di nuovo
-E la sai una cosa? Ha ragione. Da quando avevo dodici anni ho allontanato tutti, mi sono chiusa in me stessa e ogni volta che avevo un problema cercavo di risolverlo da sola senza chiedere niente a nessuno. Non ho mai parlato apertamente dei miei sentimenti perché non ci riesco e faccio fatica a fidarmi delle persone. A stento mi fido di me stessa-
Ecco lo avevo detto finalmente.
Alzai una mano scacciando le lacrime che silenziosamente percorrevano le mie guance.
-Ehi...-sussurró allungando un braccio per portarmi verso il suo caldo letto e io non feci resistenza.
-Sono un disastro-bisbigliai
-Non è vero! Erin tu sei la persona più brava che io conosca. E non sei l'unica in questo mondo che fa fatica a esternare i propri sentimenti. È una cosa normale-mi disse dolcemente.
Scossi la testa cercando di non singhiozzare.
Avevo bisogno di spazio e mi alzai dal divano per iniziare a camminare avanti e indietro per il terrazzo.
-Erin cosa c'è ancora che ti tormenta? Dimmelo. Io sono qui non scappo-disse sedendosi dritto.
Mi potevo fidare di lui?
Sarebbe scappato se gli avessi raccontato tutto?
Di come mi ero sentita quell'ultima sera...

Chiusi gli occhi e iniziai a parlare tormentandomi le mani.
-Quando avevo dodici anni Mio padre perse il lavoro. Lavorava in quella ditta da venticinque anni e quando ha incominciato a stare a casa ha iniziato ad andare in depressione. Dopo pochi mesi ha iniziato anche a bere, ritornava a casa ubriaco piangendo e mia madre mi diceva di rimanere in camera mentre lei cercava di rimetterlo in sesto.- chiusi gli occhi al ricordo di quella sera in cui lo vidi steso per terra nel bagno troppo ubriaco per reggersi in piedi.
-Va avanti-mi spronó Ryan che aveva assunto in espressione seria.
-...Oltre all'acool ha tentato anche il suicidio. Due volte. Ma gli è andata male. Quando abbiamo capito che non potevamo più aiutarlo decidemmo di portarlo da uno psicologo che gli consiglió una casa di cura. Immaginati una bambina di dodici anni accompagnare il proprio padre in un manicomio e lasciarlo lì per un mese- dissi quest'ultima frase con un sorriso amaro.
-Dio mio-sussurró lui
-E andammo avanti così per sette anni. Andava e tornava dalle case di cura, sembrava stare bene per una settimana in casa e poi ecco che incominciava di nuovo a bere e a imbottirsi di psicofarmaci. Non si reggeva più in piedi, balbettava e tremava.
Fino a quando una sera, quando avevo diciassette anni, non iniziammo a litigare di brutto, lui diceva che io non gli prestavo mai attenzioni e in parte era vero ma perché studiavo e per aiutare mia madre con i debiti mi ero trovata un lavoro. E incolpava la mamma perché non lo aveva capito. Mi diede della stronza, bugiarda e quando uscii dalla cucina si chiuse in sala. Chiamammo i pompieri per sfondare quella porta e...-
Non riuscii più a trattenere i singhiozzi e sentii la presenza di Ryan vicino a me.
Sentii le sue braccia forti stringermi vicino a se.
-Lo vidi steso per terra...c'era sangue ovunque. Aveva tentato di nuovo il suicidio ma sono riusciti a salvarlo. Il giorno dopo quando ritornó a casa fece le valigie e se ne andò senza salutarci. Da lì non lo vidi e non lo sentii più. Non mi fece gli auguri neanche per il mio diciottesimo compleanno.-
Tirai su con il naso cercando calmarmi.
-Cazzo..Erin mi dispiace-
Gia anche a me.
-Da quel momento siamo rimaste solo io e mia madre. Dovevamo pensare a pagare i debiti e talmente lavoravo che non riuscii più ad andare a scuola. Mi addormentavo sui banchi così decisi di mollare per poi riprendere l'anno seguente. Mi diplomai e andai a Yale. Ma quest'estate mio padre si è fatto sentire da mia madre dicendole che voleva vedermi ed è per questo che me ne sono andata senza dirti niente. Ero troppo infuriata tanto che non riuscivo a gestire me stessa. Quando poi l'ho visto gli ho sputato addosso tutto ciò che pensavo e se ne è andato.-
Ormai stavo piangendo come una fontana mentre Ryan cercava di calmarmi.
-Erin va tutto bene. Tu non hai colpe l'unico stronzo in questa storia è stato lui!-
Mi divincolai dal suo abbraccio e mi girai perché quello che stavo per dire forse non gli sarebbe piaciuto.
-Sai cosa ho pensato quando l'ho visto per terra in una pozza di sangue? Che forse era finita! Che forse potevamo ritornare alla vita normale!-
-Erin..-
Scoppiai in lacrime portandomi le mani sul volto, mentre sentii delle mani farmi girare delicatamente.
-Erin guardami! Non è stata colpa tua! Ed è normale che tu abbia pensato quello! Cazzo io avrei pensato anche di peggio! Eri piccola vivevi in quel l'inferno da anni e non ne potevi più. Tu hai fatto quello che potevi-
-Per tutto questo tempo mi sono chiesta: e se avessi potuto fare di più? Se gli fossi stata più vicina magari lui non se ne sarebbe andato. Forse ora staremmo di nuovo bene e invece...-
-Piccola non puoi pensare questo!-
Vidi la tristezza e il dolore nei suoi occhi a sentirmi parlare così ma era quello che pensavo.
-Mi vergognavo così tanto di quello che ci capitava che nessuno dei miei amici, a parte Cleve, lo ha mai saputo. E fa male ancora adesso! Dio se fa male!-
Oramai non mi controllavo più, piansi a dirotto mentre Ryan mi teneva stretta a se mentre cadevo per l'ennesima volta.

Ma questa volta non ero sola.

Distance HeartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora