Appartenere.

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Si chiedeva perché; perché si era lasciato convincere a partecipare ad una festa così caotica, o meglio, imbucarsi ad una festa così caotica!; ma poi, alla fine, il piano era stato suo, come anche l'iniziativa; era abitudine per lui imbucarsi alle feste per mangiare a scrocco. Per lo più, ormai dava per dispersi i compagni di "avventura" che aveva spinto a tanto, anche se loro non gli avevano dato l'impressione di persone a cui importava delle conseguenze, mai stati; avevano accettato tutti subito ed ora erano tutti lì, dispersi ma erano lì. E non sapeva come fare ad andarsene, non poteva, non senza di loro; né sapeva come rintracciarli, in quel posto, in mezzo a tutta quella marmaglia che rappresentavano i corsi del biennio dell'università. Soprattutto, non poteva abbandonarli alla festa perché, tra i cinque membri che erano, lui era l'unico con la patente e la macchina. Fuori era buio e faceva freddo, il solito gelo che accompagnava l'inverno; andarsene senza di loro sarebbe stato davvero vile e da traditori in quel momento, e di certo non poteva lasciare lì Luffy senza la sua supervisione, per quanto sensata fosse al momento visto che, dopo cinque bicchieri di birra, l'alcool aveva già iniziato a sopraffarlo sulla ragione. E poi, non poteva andarsene solo perché non si sentiva a suo agio nello stare in mezzo alla gente; mai che si dica che Portgas D. Ace abbia paura di una semplice festa, non sia mai! Se qualcuno gli è lo avrebbe rinfacciato, avrebbe ribattuto affermando: "Che bazzecola, io mi ci imbuco anche!", ovviamente con tono e postura fiera, forse non troppo da lui.

Ma a dirla tutta, forse colpa dell'alcool ingerito, si annoiava; e aveva anche sonno, ma questo era dettato più dalla narcolessia che possedeva da quando era entrato nella fascia d'età adolescenziale. Scuoté il capo, guardandosi attorno e lasciando il bancone, dimenticandosi del quinto bicchiere, semi-vuoto, di birra che aveva ordinato poco fa, e che il gentile ragazzo dai baffi lunghi, con le punte che drizzavano, dopo una curva, verso l'alto, e il cappello a cilindro, blu scuro, o forse nero, o forse di un altro colore, gli aveva versato; non lo capiva nemmeno lui il colore visto il buio, interrotto solo dalle scie di mille sfumature e forme delle luci che invadevano l'enorme sala, che pareva così piccola in mezzo a quelle persone tutte messe insieme, sembrava essere ad un concerto, e la musica alta che usciva dagli stereo aiutava a dare sempre di più quell'idea.

Camminò, o forse barcollò, non distingueva più nemmeno i suoi movimenti; cercando di farsi spazio per passare in mezzo a quei ragazzi, che in quelle ore non si erano accorte di avere degli intrusi, ma magari potevano essersi infiltrati anche altri ragazzi di altre sezioni, o che, come loro, non c'entravano proprio niente con l'università; chi poteva dirlo con certezza dentro quella marmaglia così caotica e movimentata?

Sospirò d'un tratto, fermo a capo chino, guardando le sue scarpe nere, ingoiando amaramente le gomitate o le spinte che le persone affianco gli gettavano di tanto in tanto nel ballare come fossennati. Capitava, a lui, di avere questi momenti di depressione improvvisa; non sapeva gestirla, non capiva da dove nascesse anche se ne conosceva il perché, però non poteva impedirla, ma magari non ci aveva nemmeno mai provato. Ma magari, quella volta era dettato tutto dall'alcool, in fondo non era abituato a bere, la prima volta che si era ubriacato era stata al suo diciottesimo compleanno, se solo si ricordasse cosa fosse accaduto; ed era passato tanto da allora, forse qualche mese; visto che erano a Settembre anche più di 'qualche'. Si sfregò il capo con energia, cercando di infondersi un po' di lucidità in quel modo, ma forse servì a farlo di più il fatto che cascò con il fondoschiena a terra di botto, spinto da un ragazzo spinto a sua volta da un altro, formando così la reazione a catena del domino; forse litigavano. Strizzò gli occhi, aprendoli poco dopo e accorgendosi amaramente che tutti i ragazzi intorno avessero formato un cerchio e che li stavano osservando curiosi, mentre il DJ aveva abbassato il volume della musica, magari anche lui curioso. Ma la cosa che lo lasciò più spiazzato fu l'accorgersi che lui era finito a terra proprio al centro di quel fantomatico cerchio, con sul grembo il ragazzo che lo aveva fatto cadere, mentre l'artefice di quella caduta a domino era in piedi, che sbuffava prima di fare un mezzo ghigno, fiero dell'operato. Ora, lui, non sapeva se sgattaiolare via prima che a farlo sarebbero stati gli organizzatori stessi della festa, o se dare di matto visto che colui che gli era piombato sopra non era altro che il biondo Sanji, uno dei membri della sua combriccola, e, a far cadere quest'ultimo era stato ovviamente il 'geniale' Zoro, quella testa di alga, come amava chiamarlo il cuoco per la chioma verde smeraldo che aveva, e che infatti usò proprio tale termine mentre si issò in piedi, abbastanza irritato; sistemandosi la camicia bianca e la cravatta prima di fiondarsi contro il verde, inclinandosi con il busto, e con una giravolta lo colpì, tenendo ben alzata la gamba sinistra, ma che venne parata dalle mani robuste dell'altro, che indietreggiò di poco. Ovviamente, lo avevano bellamente ignorato; nemmeno a chiedergli scusa. La litigata che stavano intrattenendo era più importante, e lo pensavano anche gli altri visto come gli acclamavano, tifando o per l'uno o per l'altro. Beh, almeno nessuno si era accorto che non erano invitati, o forse poco gli importava visto il teatrino che stavano dilungando, o forse era merito anche dell'alcool: che gli elettrizzava per poco, e lasciava le cose di poco conto alle spalle.

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